Mille e una Bergamo,
Predale, quel borgo dimenticato
sull’Altopiano di Selvino Aviatico
(TUTTI I DIRITTI RISERVATI)
Predale
La storia della nostra gente è scritta tra le rocce, pietra che diventa casa, terra che diventa sentiero, erba che diventa lavoro. Eppure molti borghi ormai sono perduti, tacciono per sempre le voci dei bimbi, si sono spenti i lumi nelle case, si sono chiuse le persiane. Il borgo di Predale non esiste più, più di 10 abitazioni tra case e stalle con 60 persone fino al 1962, e oggi solo ruderi. Ma la sua memoria e quella dei suoi giovani abitanti deve continuare a vivere e a raccontare la sua storia.
IL VIDEO REPORTAGE
LA STORIA
Sotto il paesino di Ama, Altopiano Selvino Aviatico, a metà pendio del monte Nigromo e quasi all’altezza della contrada di Amora Bassa, poco sopra la cittadina di Albino, tra gli sterpi e la boscaglia fitta, occhieggiano commoventi nella loro solitaria storia, i ruderi di un antico borgo ormai dimenticato: Predale. Si parte nei pressi della funivia Albino-Selvino (ampio parcheggio) lungo il sentiero n°550 intorno alla Valle dell’Albina. Rocce dolomitiche e profonde forre celano grotte preistoriche ricche di reperti (Büs de la Scabla). Verso l’alto, dopo un’ora di cammino, il sentiero si biforca. A sinistra sale verso Selvino, a destra si incrocia con il sentiero n°537, che giunge fino ad Ama, risalendo la Valle del torrente Valgua, tra boschi di latifoglie e castagni.
I RUDERI
A metà crinale improvvisamente appaiono le buie finestre vuote di un gruppo di casolari un tempo possenti e dignitosi. Sono tutto ciò che resta di Predale, un nucleo di abitazioni molto antico. Negli anni Quaranta del secolo scorso aveva contato più di cinquanta abitanti tanto da far ipotizzare la costruzione di una cappelletta per celebrare la messa. Era collegato da una fitte rete di sentieri cavalcatori alle due borgate di appoggio. A monte in alto c’era Ama, e parallelamente, a lato est, Amora Bassa di Aviatico.
In mezzo le varie vallette, tra cui la valle dell’omonimo torrente. Numerosi erano anche gli strapiombi oppure i precipizi detti “Corégn”, o “Cimie”, e più in basso gli “Orridi di Valgua”. Un forte legame di parentela legava gli abitanti di Predale ai loro vicini di Ama e Amora Bassa, in continuo vincolo di solidarietà e aiuto.
In estate i ragazzi più temerari si tuffavano dalle rocce nelle pozze profonde. Una di esse, detta “dol tinèl” del tinello o mastello per la sua forma circolare, è rimasta pressoché intatta fino ai giorni nostri.
PREDALE ANTICO
Accanto ai ruderi, su quello che un tempo era il pianoro centrale, il CAI di Albino ha affisso un pannello esplicativo che riporta i fondamentali dati storici. Predale, o “Predàl”, come è scritto negli antichi documenti, è stato per secoli un piccolo nucleo rurale circondato da limitati appezzamenti di coltivazioni e di prato, circondati da tratti di pascolo e di bosco. Il Catasto di Albino del 1476 ce lo presenta composto da quattro case, ognuna con orto e piccolo cortile, la “éra”, abitata ognuna dalle famiglie di tre fratelli, i Gidotti, i quali possedevano individualmente una mucca e alcune pecore. Vivevano del lavoro dei campi, vendendo formaggi e la lana delle pecore. Nel borgo vi era situata anche una quarta casa, di un certo Antonio Bazalini, trasferito però ad Albino. Nei secoli successivi venne abitato dagli Isabelli (oggi i discendenti hanno modificato il cognome in Usubelli), originari di Ama.
Un’incisione su una delle pietre delle abitazioni rappresenta una “Rosa Celtica. Sul sito dedicato viene così spiegata la sua origine e il suo significato: “
In quella che è stata la parte subalpina vissuta dai Celti, a partire dalle Alpi Marittime, per arrivare fino alle Dolomiti, un simbolo solare ha unificato l’esprimersi visuale di quelle genti, si tratta della “Rosa celtica”, quel “logo” atavico che si trova espresso artisticamente ed artigianalmente sui portali, sugli accessori legnosi ed impresso sulle rocce monumentali, detto anche “Sole delle Alpi”. Le decorazioni intarsiate sul mobilio e sugli attrezzi della vita contadina, oltre a quelle scolpite sulle lastre di pietra sormontanti i portali, nelle abitazioni dei villaggi, ritenevano quel segno un richiamo della protezione celeste. Era così caratteristico ed usuale per la nostra gente, che avrebbe potuto essere inteso come il più noto “Albero della vita”, diffuso in tutta Europa, ma noto, per gli stessi significati in ogni civiltà mondiale.” (fonte citata).
In altri testi la rosa Celtica viene definita “Fiore della Vita“, molto usato nei riti etruschi come rinascita dalla morte. Anche nel Medio Evo era molto diffuso tra gli scalpellini, i mastri costruttori, gli architetti, i monaci e i cavalieri templari per la sua simbologia sacra che richiama la genesi e l’evoluzione di ogni forma di vita nel cosmo.
Sulla pietra dell’architrave del portoncino d’entrata della casa dello Stefèn -Stefano- Carrara si nota incisa anche una croce orizzontale celtica detta Croce Bordonata (da bordone, il bastone con il pomo del pellegrino) o anche pomellata/ pomata, come pure sui muri laterali dello stesso portoncino altre due croci più piccole.
Predale fin dal 1170 era una delle contrade del “Comune Maggiore di Albino”. Insieme ai paesini di Amora ed Ama, era aggregato alla parrocchia di San Giuliano di Albino.
Nel 1654 il Comune di Albino si fraziona e Predale con Ama ed Amora, in tutto 415 abitanti, acquistò una Amministrazione autonoma, con propri sindaci e tesorerie.
I notevoli disagi per accedere alle funzioni religiose nella sottostante parrocchia di Albino, soprattutto per i bambini, gli anziani, le donne incinte, e in occasioni di funerali, costrinse nel 1688 le tre piccole località di montagna (già gli abitanti erano scesi a circa 200) a chiedere la separazione dalla chiesa di Albino. Vollero costituirsi parrocchia unica intorno alla chiesa di San Bernardino di Amora.
La natura aspra del luogo ha impedito lo sviluppo del piccolo abitato e la durezza della vita contadina ha spinto gli abitanti ad emigrare verso il fondovalle della Media Valle Seriana. Dalla metà del Novecento è stato lasciato in completo abbandono.
UNA ANTICA MAPPATURA
Questa antica mappatura fa bella mostra di sé in una delle tante sale espositive dei Musei Vaticani. Illustra la ramificazione della Via Mercatorum che, partendo dalla città di Bergamo, collegava la Valle Seriana alla Valle Brembana e portava nei Cantoni dei Grigioni. A sinistra appare la dicitura di Selvino, a destra Aviatico e Ama, accanto si intravede il nome Amora e poco sotto la scritta “Predale” (“Pradale”) segno inequivocabile che il borgo rivestiva una certa importanza nella locazione dell’epoca.
Oltre al percorso principale, questa antica Via forniva collegamenti quasi “moderni” attraverso le sue numerose diramazioni con vari punti di salita, accomunati però dal ricongiungimento a San Giovanni Bianco, in Valle Brembana. Infatti la valle era bloccata al commercio con Bergamo a causa degli strapiombi sul Brembo in località Botta di Sedrina, scavalcati poi dai Ponti con la Via Priula e negli Anni Ottanta del secolo scorso dai Viadotti. Insieme ai tratti che da Alzano risalivano fino alle frazioni Burro, Brumano e Monte di Nese per giungere a Selvino, vi era anche la Via che raggiungeva l’Altopiano di Selvino mediante la valle dell’Albina, in territorio di Albino, su, su, oltre Amora Bassa, Amora Alta e poi verso Aviatico, Trafficanti, Serina.
LE FAMIGLIE
Le ultime famiglie residenti negli Anni Cinquanta appartenevano alla stirpe detta “Enansie”, i Carrara, i Cuter e gli Usubelli: i contadini Stefèn, Virgilio, Maele, Luigiòt, Meròl (Angelo Carrara) e le loro rispettive famiglie.
Ogni casa presentava un cucinone e la stalla, la cantina adiacente, dove fu ricavato un angolo per fare il formaggio, “ol sirtèl”, oltre ai prati intorno, suddivisi nei vari appezzamenti, con le ripe su cui pascolava il bestiame. Un’ampia e pratosa aia, detta “ol piasöl” (la piazzola) illuminava la stupenda vista sulla valle e faceva da cornice alla vita comunitaria. Proprio sul “piasöl” negli Anni Venti si celebrò il pranzo di nozze di Antonietta, sorella del Meròl, con grande coinvolgimento di tutta la gente del circondario.
A ridosso delle case vi era “ol stansì del rüt” nel quale si gettava il letame con la forca,”ol ras-cc del rüt” e le cisterne dell’acqua, “i sösternie”, utilizzate per raccogliere l’acqua piovana con cui abbeverare gli animali, cucinare, oppure lavarsi. L’acqua giungeva anche da un bacino posto sotto il Poggio di Ama, una piccola costruzione nascosta nel bosco in località “Cantörie”, da cui partivano semplici tubature. In primavera però andava ripulito dalla melma, foglie e terriccio depositati dai temporali e dagli acquazzoni; il pericolosissimo compito spettava ai ragazzi.
I NARCISI
Verso la fine di aprile si rinnovava la magia delle spettacolari fioriture di narcisi selvatici, che ricoprivano i prati di Predale come una distesa di stelle.
I bambini ne raccoglievano a bracciate e li disponevano in ordine nei “sòi” (mastelli) o nelle grandi “ramine”, per poi legarli a mazzetti di varie misure, che andavano a vendere ai villeggianti fuori dall’abitato di Selvino, alle prime curve dei tornanti. In fila indiana si risaliva il sentiero fino ad Ama in una processione di cherubini, ognuno con i suoi mazzi stretti come un tesoro, in attesa dei primi guadagni: uno piccolo sarebbe valso 50 lire, per poi salire a 100 per quelli più grossi.
Anche per la scuola si seguiva lo stesso tragitto: i bambini di Predale, detti “Predalì”, componevano una buona parte del gruppo alunni, infatti quando la neve era alta e i bambini di Predale non erano riusciti a salire a scuola, la maestra sospendeva le lezioni.
I funerali avvenivano nella chiesa di Ama. Dal borgo di Predale partiva il corteo a piedi, una colonna di uomini e donne in nero, lungo il sentiero che si inerpicava in mezzo ai prati in piena fienagione o ricoperti di neve, un tragitto di mezz’ora o poco più fino alla chiesa di Ama, posta su un pianoro, mentre i lugubri rintocchi della campana a morto si propagavano su tutto l’altopiano, e accompagnavano alla sepoltura nella nuda terra del piccolo cimitero sul Poggio Ama, unica costruzione solitaria tra il verde.
La vita nel borgo era vivace ed attiva, le donne sulla porta di casa si scambiavano pasti e tessuti, i giovani dell’altopiano scendevano a Predale in cerca di morose, ci si parlava lungo i sentieri scambiando notizie e fatti, portati di bocca in bocca da chi transitava per di là. Dimostrazione della vitalità del borgo di Predale fu data dalla prima TV che fece il suo ingresso nel borgo ancor prima che nelle altre contrade di Ama e Amora Bassa, come pure la corrente elettrica che permise alle donne di avere il primo ferro da stiro moderno, vera innovazione rispetto a quelli ancora in uso, che si scaldavano con il carbone
I PERICOLI
Era pericoloso per le mandrie pascolare sui pendii intorno a Predale. Le numerose “ripe” (come la “ria dol Meròl” o “ol büs dol Mèi”) nascondevano insidie.
Una volta avanzando lungo il sentiero dai “Còste” una delle mucche spintonò talmente alcune delle giovani che una di esse, “öna manzèta”, una manzetta, scivolò giù nelle “Cimie”. Erano chiamate così per le cime, o spuntoni di roccia che frastagliavano l’orrido della Valle di Valgua. Gli uomini disperati tentarono di salvare l’animale finché lo Stefèn riuscì in qualche maniera ad afferrare il manzo trattenendolo per la coda. Ma non poteva resistere a lungo, così sospeso a pancia in giù oltre il ciglio del sentiero, con il peso dell’animale che gravava sempre più verso il basso dimenandosi e muggendo atterrito. Il fratello Ceserì, che abitava ad Amora Bassa, era nel frattempo corso a perdifiato verso la contrada a chiamare soccorsi. Le sue grida richiamarono i giovani, i quali accorsero in un baleno e insieme riuscirono a portare in salvo l’animale. Stanchi e stremati si lasciarono andare tra l’erba. La mandria era sparpagliata in lungo e in largo, ma nessuno in quel momento si diede pena di radunarla.
LE PARTENZE E LA TRAGEDIA
A causa della difficoltà di vita e mancanza di lavoro, ebbe inizio dopo la metà degli Anni Cinquanta il lento abbandono: le famiglie residenti, circa sette, emigrarono una dopo l’altra, chi in Bassa Valle Seriana, chi più lontano, ad Ospitaletto, Brescia, dove già avevano trovato lavoro i figli maggiori.
La decadenza ebbe il suo colpo fatale con la morte di uno dei suoi giovani abitanti, il diciottenne Modesto Carrara, che il 26 luglio 1962 annegò nell’acqua della pozza detta “Presa della Capra” poco sotto la diga di Fregabolgia, sul sentiero verso il Rifugio Calvi, dove stavano stanziate le mucche della famiglia che il ragazzo seguiva per il periodo estivo.
Il papà “Stefèn”, lacerato da un terribile senso di colpa, cominciò a deperire tragicamente finché, non reggendo al grande dolore, lui e la moglie “Bèpa” presero la sofferta decisione di andarsene dal Borgo di Predale. Non vi era più nulla che li legasse a quella contrada, la voce del loro amato Modesto riecheggiava ancora tra le pareti spoglie dell’enorme casa a più piani. L’entrata economica che lui garantiva con le sue forti e giovani braccia era venuta a mancare. Partirono ad inizio giugno del 1963 diretti a Ospitaletto, in provincia di Brescia, dove da tempo si erano stabiliti gli altri figli, emigrati in cerca di lavoro sicuro. Ma qualche mese dopo, nel 1964, “Stefèn”, sopraffatto dall’immane fardello, morì di crepacuore, lontano dai suoi monti, lontano dal suo mondo. Modesto rimase a riposare nel piccolo cimitero di Ama per 18 anni, fino al 1980, quando venne riesumato e anche lui raggiunse i genitori a Brescia.
Per una quindicina d’anni la cura della campagna, delle case e delle stalle venne affidata alle famiglie dei parenti che ancora abitavano ad Amora Bassa. Ci si spostava a Predale da maggio a ottobre, da mattina fino a sera, per accudire le mucche portate in precedenza nelle stalle ormai vuote. Si tenevano tagliati i prati, si rastrellava il fieno, si potavano gli alberi, si preparava il formaggio. Si coltivavano piccoli poderi, si vangava e si ripuliva il bosco dalle ramaglie, per tenere lontane le vipere, i biscioni e le serpi. A sera, allo scoccare delle ore, si ripercorreva il sentiero verso casa, lasciando la solitudine e il senso di malinconia del borgo di Predale.
Le case deserte si animavano solo d’estate quando coloro che erano partiti risalivano al monte con i figlioletti, in cerca di fresco e riprendevano possesso delle stanze lasciate da ragazzini.
IL SILENZIO
Con il tempo anche questo ultimo legame si spezzò. A metà degli Anni Settanta i giovani di Amora Bassa partivano sui pulmini diretti nell’hinterland milanese come muratori cottimisti. Gli adulti invecchiavano, si vendettero le mucche una dopo l’altra, e la sera, risalendo al monte, non si aveva più la forza di percorrere il sentiero fino al borgo di Predale. Calò il silenzio su quegli antichi muri. Il piazzale “ol piasöl” si imboscò e il verde dei rovi avvolse ogni cosa come in una antica fiaba.
OGGI IL BORGO DIMENTICATO
Reportage fotografico di Oscar Carrara
L’AFFRESCO RITROVATO
Sulla facciata della lobbia della casa del “Maele di Enansie” si poteva ammirare un affresco del XVI-XVII secolo. Era un dipinto anonimo, della grandezza di due metri per due. Rappresentava una Madonna col Bambino, più precisamente la Madonna del Latte. Era molto invocata dalle puerpere del tempo affinché, in un periodo in cui non esistevano ancora pappe ed omogeneizzati, garantisse latte a sufficienza per permettere ai neonati di superare il primo anno di vita. Con lei erano raffigurati a sinistra San Pietro con le due Chiavi del Cielo, a destra San Francesco. Inginocchiata stava una figura di popolano, probabilmente il committente dell’opera. Il suo volto è stato però danneggiato dal tempo e il lavoro di restauro ha coperto il dipinto originario. Verso la fine degli Anni Sessanta il Prevosto di Cenate Sotto, Don Francesco Berbenni, detto “ol Preostù”, appassionato d’arte, venuto a conoscenza dell’affresco, l’aveva prelevato dalla parete e collocato nella sua abitazione. Per parecchio tempo sul muro a Predale ne rimase l’impronta e chi transitava nei pressi si faceva il segno della croce e diceva due preghiere di devozione. Dopo molte ricerche tra gli eredi del vecchio Prevosto, nel 2009, grazie all’interessamento di Don Valerio Ghilardi, originario di Selvino, e con l’aiuto di Guido Carrara, nipote dello Stefèn, si è riusciti a ritrovarlo in casa di una delle nipoti del parroco. L’aveva ricevuto in eredità alla morte dello zio. Attraverso vari contatti con gli eredi, finalmente questo antico affresco, espressione della pittura popolare, è ritornato sull’Altopiano. Ha trovato degna collocazione nel Santuario della Beate Vergine Madonna del Perello, grazie a don Valerio.
IL RITORNO
L’estate 2012 è stata molto importante per Anna Usubelli, figlia del Luigiòt di Predale. Partita da Predale ancora ragazzina, è ritornata con la figlia Nives e le giovani nipoti nel suo antico borgo di nascita. Momenti di grande commozione e ricordi sono stati intervallati da racconti mai sopiti, persone mai scomparse, vite mai perdute. Per non perdere mai il filo del cammino, per non dimenticare chi ha lasciato le proprie impronte.
LA POESIA
Albino tra Natura e Incanto e la poesia dedicata al borgo scomparso di Predale
Faccio parte di quel gruppo di allora ragazzi che negli anni 72-73 avevano affittato uno dei casolari di predale e ne avevano sistemato in modo molto rustico alcuni vani. Ci abbiamo passato delle meravigliose serate e fine settimana in un’atmosfera di altri tempi. Ricordo il nome dell’anziano contadino che risaliva da Amora Bassa, si chiamava “Rico” e ci voleva tutta la mia abilità filologica (avvezza anche all’idioma bergamasco) per tradurre il suo “bergamasco di montagna”…Ora, a distanza di molti anni faccio molta fatica ad orientarmi su Google Maps e ad individuare le giuste coordinate. Abbiamo parlato ieri sera di Predale ed ho trovato questo sito. Ora mi sarà molto più facile orientarmi.
Fabrizio
Caro Fabrizio,
grazie per la sua testimonianza!!! Il signor “Rico” parente e compaesano, appare nella fotografia numero 20 attorniato da parecchi ragazzi sul pendio davanti alle case di Predale e nella fotografia numero 21 insieme alla moglie Cecilia sula piazzale delle case del borgo (detto “piasöl”). Era davvero un personaggio carico di pittoreschi aneddoti e storie, come un tempo solo gli anziani del borgo ruscivano ad essere. Predale un tempo era vivo, al crocevia della Via Mercatorum, oggi si sta cercando di impedirne il crollo completo, ma troppa burocrazia ne impedisce la realizzazione.