La medaglia del Leoncavallo d’argento alla poesia sulla Prima Guerra Mondiale
Al concorso di poesia
di Montalto Uffugo,
l’omaggio alla poesia del giovane alpino bergamasco
disperso nella Grande Guerra
La sesta edizione del concorso nazionale di poesia “Amalia Vilotta”, organizzata dal Comune di Montalto Uffugo (Cosenza), in collaborazione con la Fondazione Amalia Vilotta, ha avuto come tema – IL CENTENARIO DELLA GRANDE GUERRA – I confini della Patria.
Si è registrata la partecipazione di poeti da ogni parte d’Italia e la poesia vincitrice è stata annunciata nell’ambito della serata di gala del Festival Leoncavallo con pubblico riconoscimento. Ad essa la consegna della Medaglia del Leoncavallo d’argento, ispirata alla famosissima e intramontabile opera lirica “Pagliacci” su libretto e musica del compositoreRuggero Leoncavallo.
La particolarità del concorso è il doppio filo che lega Montalto Uffugo a Bergamo. Innanzitutto perché la vincitrice del premio è risultata la poetessa bergamasca Aurora Cantini con la poesia “Come una fiamma accesa” dedicata al giovane alpino bergamasco Fermo Antonio Carrara, uno dei fratelli Carrara. Egli venne dichiarato disperso a vent’anni durante la presa del Monte Cukla-Rombon il 2 agosto 1916, quota 2105. In secondo luogo bisogna rilevare che quasi nessuno sa che uno fra i primi cantori dell’opera scritta da Ruggero Leoncavallo, di cui la medaglia d’argento è il premio più ambito del concorso, fu il grande tenore bergamasco Federico Gambarelli. Egli infatti fece delirare le folle con il suo primo Canio nei “Pagliacci”.
Quest’opera lirica si ispirò, sia come personaggi che come ambientazione, a un delitto realmente accaduto a Montalto Uffugo in Calabria, quando il compositore era bambino. Di tale crimine il padre, magistrato, istruì il processo che portò alla condanna dell’uxoricida. La rappresentanzione fu messa in scena alla fine del 1892. Ma già pochi mesi dopo era osannata al teatro Regio di Malta, proprio grazie al grande tenore Federico Gambarelli.
Nella biografia scritta da Don Giuseppe Rizzi nel lontano 1976 sono registrate le cronache che raccontano l’acclamato esordio:
“Dal Giornale di Malta, marzo 1893 “Il successo dell’opera “Pagliacci” –messa in scena martedì 27 marzo e ripetuta per 3 giorni di seguito con sempre crescente entusiasmo- è stato veramente grandioso, immenso, eccezionale. E non poteva essere altrimenti. Un numeroso pubblico, impressionato dalla soave e toccante melodia e dal soggetto indovinato, applaudì freneticamente tutti i pezzi principali. Innanzitutto il Prologo, Il coro delle campane, La ballata di Nedda (bissata), L’arioso di Canio (bissato), L’intermezzo (bissato), La serata di Arlecchino (bissata) e il Finale Secondo. Il grande e splendidissimo successo ottenuto dal signor De Gambarell nella parte difficilissima di Canio è al presente il tema delle conversazioni di tutti i frequentatori dell’Opera. E veramente in questo spartito il valente tenore superò il successo brillante riportato nelle altre quattro opere da lui eseguite nelle nostre scene. Infatti nei Pagliacci non solo egli dimostrò di essere il cantante delizioso, corretto e dalla frase calda e appassionata, ma bensì l’attore potente ed efficace. De Gambarell diede alla scabrosa interpretazione una forza di tinte talmente veritiere da trascinare il pubblico a piangere con lui. Il colmo è stato però all’aria “Vesti la giubba” detta anche “Ridi pagliaccio” eseguita in modo sublime.
“Ridi pagliaccio sul tuo amore infranto, ridi del duol che t’avvelena il cor”
In essa il De Gambarell affascina e commuove, trascinando lo spettatore alla verità della situazione del povero Pagliaccio, tradito crudelmente dalla sposa amata e costretto in quello stato a recitare erompendo in singhiozzi ed in pianto. Nell’animo vi getta un gelo e le fibre dell’ascoltatore le scuote talmente che un urlo generale scoppia quando scompare. Il De Gambarell viene chiamato al proscenio tra grida di “bravo, bis” innumerevoli, e costretto a ripetere tutto il pezzo. Nella tragica scena con Nedda il tenore emula i più famosi attori. L’ultima frase “La Commedia è finita” la esprime in modo ammirevole, trovando il vero tuono per questa tragica esclamazione.” (Dal Giornale di Malta, 1893)
Federico Gambarelli, nato ad Albino nel 1858 e morto nel 1922, ebbe verso questa opera lirica una particolare predilezione. Era quasi coetaneo di Ruggero Leoncavallo (1857-1919) che conobbe di persona e verso il quale nutrì una forte affinità musicale e caratteriale. Entrambi ebbero una vita avventurosa e rocambolesca, vissuta a cavallo dei due secoli. Entrambi furono poi “dimenticati”, perduti nell’oblio e nel silenzio.