Gli anni ad Aviatico di Giacomo Manzù

Gli anni ad Aviatico di Giacomo Manzù

Sul numero 16, uscito il 30 settembre 2023, del periodico Giopì, quindicinale bergamasco di cultura, arte, folclore e tradizioni, lo storico e divulgatore Gianluigi Della Valentina dedica un ampio articolo a Giacomo Manzù e al suo intimo e profondo amore verso Aviatico e la sua gente, che durò tutta la vita. Un legame inedito, per la prima volta svelato nel libro “Manzù e Aviatico un unico cuore“.

“A Bergamo, dove nacque Giacomo Manzoni nel 1908, bambini e adulti affibbiavano volentieri nomignoli o diminutivi dialettali alla gente di paese; per altro non diversamente da quanto accadeva altrove. E Manzoni divenne Manzù, cognome storpiato che gli rimase cucito addosso per sempre, cosa che non gli dispiacque peraltro, anche quando si incamminò per le strade del mondo ormai famoso. Un invisibile, tenace cordone ombelicale lo legò sempre alla sua terra; alla città di Bergamo e ad Aviatico. Dove approdò nel 1934, anno in cui tenne a Selvino,  presso l’hotel Milano, la prima mostra personale.

In Val Seriana sarebbe tornato ripetutamente negli anni successivi. I luoghi sono tenaci costruttori di identità, individuali e collettive e quel remoto microcosmo contadino esercitò una forte attrazione sullo scultore. Dei lunghi periodi trascorsi lassù con la famiglia e del rapporto che egli intrecciò con la gente del luogo si occupa il libro “Manzù e Aviatico un unico cuore”.

Una accorta ricostruzione storiografica di Aurora Cantini, imperniata soprattutto sulla valorizzazione di fonti orali, che riportano alla memoria momenti particolari di quei soggiorni. Un tratto significativo di vita con gli abitanti, come sottolinea il sindaco Mattia Carrara nella sua introduzione al lavoro. Erano persone qualsiasi quelle di Aviatico, che con lo scultore ebbero rapporti diretti, con alcune persino molto stretti, quasi familiari. D’altronde lui veniva dallo stesso mondo popolare, per via della famiglia di umili origini in cui era nato, dodicesimo figlio di un calzolaio sagrestano.

Con la gente semplice si sentiva a suo agio e da quel mondo trasse ispirazione per il suo lavoro. Nella memoria dei luoghi si intendono momenti di gioia e talvolta di dolore. Ad Aviatico morì la prima figlia di appena due anni. E vi tornava anche il figlio Pio, al quale la Fiat affidò l’incarico di progettare il modello della 127, vettura che riscosse uno straordinario successo. Pio morì -terzo figlio che venne a mancare a Manzù in giovane età-  in un incidente stradale proprio mentre stava recandosi a Torino dove Gianni Agnelli e i suoi collaboratori lo attendevano, perché mostrasse loro il progetto definitivo della vettura. Seppure inconsapevolmente, il cammino dello scultore aveva incrociato quello di Angelo Roncalli che celebrava messa in Sant’Alessandro in Colonna, a Bergamo, dove il padre di Manzù svolgeva le funzioni di sagrestano. Seppure a distanza, i due bergamaschi camminavano nella medesima direzione.

Sarebbe nato dopo il rapporto profondo con Papa Giovanni, anch’egli di povera famiglia contadina, quarto di 13 fratelli, che aveva intuito la profonda umanità dell’artista. Carità, giustizia e persino spirito religioso albergano nell’animo non solo dei credenti, e non sempre di tutti i costoro. Sentimenti che il Papa Buono ritrovava nella vita e nelle opere dell’amico fraterno, così come alla sofferenza degli ultimi, il ripudio della violenza,  l’ansia di pace che ne ispiravano il lavoro. Celebre la foto che ritrae lo scultore nelle stanze vaticane mentre modella il volto di Giovanni XXIII, seduto di fronte a lui.

Ma questa è una soglia, lungo la vicenda umana e artistica di Manzù, che va oltre il suo legame con Aviatico, finora poco conosciuto, ricostruito pazientemente per merito di Aurora Cantini. Correda il suo volumetto un ricco apparato iconografico, che funge esso stesso da preziosa testimonianza di persone, paesaggi, abitazioni, opere dell’artista, oggetti della vita quotidiana. Vi figura anche la panca in pietra sulla quale gli piaceva indugiare, magari per scambiare qualche chiacchiera. È un peccato che il formato ridotto delle immagini, adottato per scelta editoriale, ne mortifichi un po’ la valenza espressiva.” (Gianluigi Della Valentina per Giopì).