NEL CUORE DELLA CORNAGERA,
la salita alla montagna bergamasca,
palestra di roccia di tanti alpinisti
Quando si parla di Cornagera si pensa al triangolo appuntito di roccia dolomitica a 1312 metri di altezza, che svetta a lato ovest della Presolana. È posta accanto al cucuzzolo del Monte Poieto, di guardia sulla Media Valle Seriana, provincia di Bergamo. Il suo nome è formato da “Corna” (spuntoni, creste appuntite) e “gera”, ghiaia in dialetto bergamasco.
Qui i grandi alpinisti di ogni tempo, tra cui Carlo e Antonio Locatelli fino ad Agostino Da Polenza, si sono cimentati nelle prime arrampicate. Provarono lassù l’ebbrezza dei primi slanci, delle prime virate oltre la linea dell’orizzonte. Ma per i villeggianti e tutti gli amanti delle passeggiate in montagna è anche meta di escursioni non troppo impegnative e nello stesso cariche di emozioni e gratificanti fatiche.
ANTICA SCOGLIERA
La Cornagera era una antica scogliera sommersa. Milioni di anni fa la Valle Seriana fu invasa dalle acque del Mare Padano, chiamato Tetide, un mare caldo e poco profondo. Quando si ritirò lasciò tantissimi reperti di pesci, coralli, alghe, conchiglie che, fossilizzandosi, crearono la roccia dolomitica che compone la Cornagera. Per effetto dell’ Orogenesi Alpina si innalzarono le catene montuose di Alpi e Prealpi, tra cui anche la Cornagera. La pioggia, il vento e il sole corrosero poi le pareti creando le vertiginose scanalature, sporgenze e canaloni circondati da ghiaia.
Una escursione sulla Cornagera è agile e gradevole. Si parte dal piazzale al bivio Amora – Aviatico, località Cantul e si risale la stradina dietro le case seguendo il tracciato n° 521. Superati i boschi di media montagna odorosi di ciclamini, chiusi dalle volte degli alberi, improvvisamente si apre lo scenario celeste e Lei sembra venirci incontro.
I pilastri rocciosi (Longo, Garlini, la Torre Savina e la doppia cima dei Gemelli) dove molti hanno arrampicato e da dove sono anche caduti, sembrano sentinelle sull’attenti. Indicano fiduciosi i passaggi più interni, una conca protetta da scogli, angoli umidi e ombrosi che giocano a nascondino con il buio.
Il formidabile ghiaione ci avvolge con il bianco delle rocce. Poi, curva dopo curva, penetriamo nel suo labirinto. C’è un silenzio attonito e solare, non spericolato come può esserlo quello delle vette più alte, ma inebriante, un silenzio di sussurri, perché la Cornagera ti racconta della gente dei paesi, dei borghi e delle contrade che si stanno svuotando. Ti lascia parlare dei tuoi desideri, dei tuoi sogni, e i bisbigli delle pietre sono le voci degli abitanti di un tempo.
L’ANNO MILLE
Canaloni e “labirinti” racchiusi fra verticali pareti rocciose ne fanno un canyon in miniatura. Nel corso della storia la Cornagera è stata anche rifugio agli abitanti del paese di Aviatico, che sono saliti nel suo labirinto per sfuggire all’avanzare delle orde barbariche e sopravvivere al famoso anno “MILLE”, in cui si predicava la fine del mondo. Nel giugno del 1185 giunsero invece i Pirati della Valle Brembana. Dopo aver razziato il paese presero in ostaggio le ragazze da marito e fuggirono. Gli abitanti, armati di forconi e bastoni, li inseguirno verso il Poieto. Lì, in località Forca, ingaggiarono una furibonda lotta per liberare le ragazze. Costrinsero così i Pirati a cercare scampo nella Valle del Gru. A ricordo di questo drammatico fatto, gli abitanti eressero una Cappelletta dedicata alla Madonna del Buon Consiglio (ancora esistente in località Forca), che aveva dato loro la forza di reagire contro i Pirati.
RIFUGIO ALLA PESTE DEI LANZICHENECCHI
La Cornagera venne poi usata per scampare alla peste portata dai Lanzichenecchi nel 1630. Da questa terrificante esperienza, che miracolosamente sfiorò appena gli abitanti, ebbero infatti solo 21 morti rispetto ai 150 del vicino paese di Selvino e ai 56000 in totale della provincia di Bergamo, in soli 5 mesi), i sopravvissuti eressero la piccola chiesa di San Rocco in Aviatico.
Una parete aspra ma non difficile conduce, in un saliscendi arcigno, nel cuore della roccia, dove pulsa il ritmo della montagna. Si risale la cresta e si approda sulla cima, sulla “testa” della Cornagera.
Ad un punto del Canalone interno ecco un bivio: a sinistra una parete ad arrampicata quasi verticale per circa 200 metri indirizza l’escursionista alla Vetta vera e propria. Il sentiero in salita, scosceso ma comunque percorribile da tutti, si inerpica tortuoso in un saliscendi di vallette e faglie scavate dall’acqua fino alla sommità. In uno spiazzo abbastanza ampio appare la Valle Seriana.
La Croce e la statua della Madonna, alta circa 1 metro, portata in spalla fin lì da un valligiano, Gianni “de Ama”, parente della sottoscritta, sembrano balzare verso il vuoto, mentre la pelle riceve il bacio del sole e il freddo è appena un pizzicore come di bollicine. In alto si ode il verso stridulo della poiana, per il resto sereno compiacimento, velatura di commozione, solidità di pace.
Da lassù, in un pianoro aperto a 1315 metri, si abbraccia il cielo e il mondo in un unico anelito di gioia.
Poco sotto a est il paesino di Ganda occhieggia birichino, asserragliato intorno alla sua chiesina dedicata alla Madonna Assunta. Se vibra lo sguardo in alto ecco il Massiccio della Presolana, composta e magnetica, il Grem, il Pizzo Formico.
Sotto i piedi, giù a picco vertiginoso, ecco Amora, che si dipana a ventaglio a guardia della media Valle Seriana con il nastro del fiume Serio a indicare la via. Lontano la pianura luccica in un prezioso ricamo.
A ovest appare il pianoro col paesino di Ama, e in lontananza Selvino, elegante e armonioso.
A monte della Cornagera si gode il Poieto con il suo Rifugio. Si intravede l’Alben, l’Arera, le montagne della Valle Serina.
IL BUCO DELLA CAROLINA
Dopo essere ridiscesi al bivio, nel proseguire il Labirinto, si entra nello stretto e tortuoso passaggio denominato “Buco della Carolina”. È il cuore della Cornagera, la sua vena profonda e pulsante.
L’umidore delle pareti che rigano e graffiano la pelle e gli zaini, la penombra della forra, spingono il cuore a battere a mille. La sensazione di essere intrappolati, schiacciati dalle possenti pareti, rendono un brivido piacevole alla gita.
I GIOVANI SOLDATI NASCOSTI NELLA CORNAGERA
Per spiegare il significato etimologico del Buco della Carolina bisogna risalire agli Anni della Seconda Guerra Mondiale. Molti militari fuggiti prima di essere internati nei Campi di Lavoro in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, tra cui Mansueto Cantini, il papà della sottoscritta, si nascosero in questo angusto pertugio per sfuggire alle rappresaglie tedesche e fasciste. Se ne rimasero incastrati nella morsa della roccia, mentre sopra, sul crinale ricoperto di cespugli sempreverdi, avanzavano i soldati un tempo amici. Perlustravano, scrutavano ogni apertura, cogliendo ogni minimo rumore o segno di presenza umana.
Là sotto, i ragazzi, (non avevano più di 18 – 20 anni e Mansueto era uno di essi) pregavano di poter uscire vivi, di restare vivi. Una invocazione alla Madonna, la Madre di tutti, ed una alla “morosa”, la “Carolina”, in un ardente sogno di poterla riabbracciare. Da allora è per tutti “Il Buco della Carolina”.
Dopo i fatti dell’8 settembre nelle caserme erano entrati i Panzer tedeschi: fuggi fuggi generale. Ma inutilmente, perché i reparti vennero catturato e caricati su carri bestiame. La sorte era segnata. Già 25.000 ex militari italiani erano internati nei campi. Particolarmente famigerato era il campo Lukenwalde-Stamlager.
Anche il giovane Mansueto Cantini, classe 1925, papà della sottoscritta, stava per subire lo stesso tragico destino. Ma aveva deciso che in Germania non ci sarebbe andato. Ad ogni costo. Tentando la sorte insieme al suo compagno d’infanzia e compaesano Bortolo Cantini, aveva divelto alcune assi ed era riuscito a saltare dal treno in corsa, destinazione Germania, mentre rallentava in vista della stazione di Verona a causa di un bombardamento sulla città. A piedi, diciottenne spaesato e sfinito, si era incamminato verso Bergamo, fino a Rovato, dove aveva trovato rifugio nel convento di due zie suore.
Su un carretto coperto di paglia e fieno era quindi giunto a Bergamo. Da lì aveva risalito la mulattiera, l’antica Via Mercatorum, fino ad Amora. Poi ancora più su, fino alla Cornagera. Diceva che Lei, la montagna, era il solo luogo dove si sentisse al sicuro. Passato il momento più critico e avanzando l’inverno, il gruppo dei giovani aveva abbandonato l’improvvisato rifugio e si era disperso. Mio papà si era rintanato nel solaio del Palazzo dei Conti Martinelli, poco sotto la Cornagera. Lì era rimasto per tutto l’inverno, con la sola visita della madre e delle zie a portargli cibo e conforto.
LA MADONNINA RUSSA NELLA ROCCIA DELLA CORNAGERA
In uno dei tanti Canaloni interni della Cornagera vi è ancora un anfratto, un pozzetto detto la “Dispensa della neve”. Fino agli Anni Sessanta, non essendoci i frigo, i contadini del posto, che avevano le cascine intorno al Poieto, venivano fin quassù a prelevare la neve che durante l’inverno avevano depositato in questa nicchia. Infatti la sua posizione arretrata rispetto al sole e la roccia sovrastante che fungeva da tettuccio permetteva la conservazione della neve fino all’estate. Serviva ai contadini per avere il fresco per fare il burro e far rapprendere bene la panna.
In fondo ad un altro pertugio quasi verticale poco distante dal Buco della Carolina, ad una profondità di circa 10 metri, si può ammirare anche la minuscola effigie della “Madonna dei Partigiani”, come viene genericamente definita, una vera e propria icona russa, incastonata nella roccia e datata “18 settembre 1944”.
L’icona incastrata nella roccia, di circa 5-7 cm per lato, proviene dalla Russia. Raffigura la Madonna Madre di Dio di Smolensk, dal nome della città in cui il principe Vladimir Monomaco la portò nel XII secolo. Fa parte di una delle 250 versioni della Madonna detta di “Ogiditria” cioè “che indica la via”. Infatti con la mano destra guida lo sguardo dei fedeli al Bimbo Gesù, come a indicare agli uomini che la strada da seguire è quella che conduce a Dio. È una delle Immagini più antiche e venerate della Madre di Dio. La devozione prese avvio a Costantinopoli. Si tramanda che la prima Immagine originale venne dipinta dallo stesso Evangelista Luca a Gerusalemme quando Maria era ancora in vita.
Nello stesso tempo nell’icona Gesù Bambino benedice con la mano destra la Madre. Il Bambino inoltre guarda dritto davanti a sé, verso i fedeli. La manina sinistra è piegata come a contenere un rotolo, il rotolo della Legge.
Altro particolare è la Corona, simbolo di Maestà e il mantello della Vergine. La Vergine è riccamente vestita con il mantello in porpora, proprio dell’imperatrice di Bisanzio. Se si osserva con attenzione sulla spalla destra si vede una stella. Fa parte del gruppo di 3 stelle che adornano la Madonna (la corona, la stella sulla spalla destra e la stella sulla spalla sinistra -nascosta dal corpo del Bambino-). Infine l’incarnato denota lineamenti che richiamano la Madonna Nera.
Questo dimostra che tra i giovani ricercati vi fossero anche soldati russi o slavi sfuggiti alla cattura dei Tedeschi, oppure che erano evasi dal campo di concentramento della Grumellina di Bergamo dopo l’apertura dei cancelli l’8 settembre del 1943, oppure ancora che si erano uniti alla Resistenza. Questa Immagine di Madonna Russa è Venerata Protettrice della Russia.
Attraversati i canyons si può ridiscendere dall’altro versante, quello a nord, verso Aviatico. Si transita davanti a cascine convertite in pittoresche e graziosissime baite. Si oltrepassano prati e radure adibite a pascolo delle mandrie, occupazione ancora attiva da queste parti. Sopra ecco lo sferragliare dei bidoni della bidonvia che salgono al Rifugio Monte Poieto. Il mondo con il suo alacre movimento ci riaccoglie. Lassù l’amica poiana volteggia stridendo. Chissà che cosa racconterà alla Cornagera?
RACCONTANDO LA CORNAGERA A MODO MIO
Bellissima descrizione di questa montagna così cara a noi parapendisti. La conoscenza anche “storica” dei monti che si frequentano aiuta a viverli al meglio anche dal punto di vista sportivo.
Grazie, Caro Vincenzo, non sai quanto mi faccia piacere il tuo commento. Fin da bambina guardavo in alto e immaginavo di allungare la mano e appendermi al filo d’oro di quegli arcobaleni leggeri che volavano nel cielo azzurro. E la Cornagera sembrava sorridermi benevola, come una madre che accompagna i passi impazienti del proprio bambino. Grazie, e tanti auguri per la tua attività sportiva! Quando guarderai giù, perso nel tuo mondo di vento e di pulito, immagina che dai balconi colmi di gerani del paesino di Amora qualcuno sta guardando in su.