Nel ricordo di Anita Garibaldi

Nel ricordo di Anita Garibaldi,

donna simbolo dell’Italia risorgimentale

di Ester Saletta

Anita Garibaldi, il monumento sul Gianicolo

È il luglio del 1849 quando il Generale Giuseppe Garibaldi, nella sua fuga da Roma, oramai assediata dalle truppe francesi del comandante Oudinot, si dirige inizialmente verso Arezzo e successivamente verso la costa Adriatica con l’intento di salpare alla volta di Venezia, occupata dalle truppe austriache. Con lui c’è la sua inseparabile e fedele compagna di vita, Anita, febbricitante a causa di una difficile gravidanza, che viene invitata a riposare in una delle tante cantoniere disseminate lungo la via Casilina. È a questo punto che Aurora Cantini, poetessa e autrice bergamasca di riconosciuta abilità lirico-descrittiva, dà vita alla suggestiva, a tratti anche fantasiosa e fiabesca rivisitazione della vicenda storica di Anita Garibaldi nei suoi ultimi istanti di vita.

“UNA TRA I MILLE, ANITA” la decima pubblicazione di Aurora Cantini

Nella cornice rurale della semplice intimità domestica di una locanda sperduta nella campagna laziale, la battagliera e temeraria mitica forza “garibaldina” di Anita, donna libera ed emancipata, venuta dal lontano Brasile per condividere fino alla morte gli ideali rivoluzionari del suo uomo, si intreccia con la tradizionale genuina semplicità di una vecchia locandiera bergamasca della Valle Seriana, Adalgisa, che racconta la sua vita di stenti e di privazioni nei campi così come del suo duro lavoro in filanda.

Le ragazzine in filanda
Le ragazzine in filanda

Ne esce un racconto emozionante, tutto al femminile, denso di sentimenti forti, di ricordi nostrani di un’antica cultura paesana popolare, costruita su valori famigliari intensi, che contemplano la fraterna condivisione del quotidiano, la determinata lotta per la sopravvivenza e la costante speranza in un futuro generazionale migliore. Silenzioso spettatore di questa  evocativa galleria di ricordi autobiografici, speculari tra Anita ed Adalgisa, è Mariano, giovane coetaneo di Menotti, primo figlio della coppia Anita e Giuseppe Garibaldi, che, proprio alla luce delle patriottiche rievocazioni delle prodi gesta garibaldine uscite dalla viva voce di Anita, deciderà, dieci anni più tardi, di arruolarsi volontario al seguito del Generale nelle fila di quella che sarà ricordata dalla Storia come la famosa e ben nota “Spedizione dei Mille”. Il che, però, non gli impedirà di ritornare in territorio bergamasco per andare alla ricerca della famiglia di Adalgisa e con questa anche delle sue antiche radici di appartenenza – sposerà, infatti, la nipote della vecchia locandiera e diventerà padre della piccola Annina. Fin qui le vicende narrate dalla magistrale penna creativa di Aurora Cantini, che ha saputo armoniosamente fondere antichi sapori della tradizione valligiana bergamasca con quelli più strettamente nazionalistici di un passato italiano risorgimentale davvero difficile da dimenticare, perché tanto glorioso e coraggioso nella sua tenace lotta per la libertà e l’indipendenza dallo straniero. Dai ricordi ancora vivi di Adalgisa come “scoparina” e “filanderina” in quella che fu la dura realtà dell’attività della gelsicoltura in Bassa Val Seriana, alle gesta eroiche di alcuni Garibaldini bergamaschi come Daniele Piccinini e Francesco Nullo si “dipana il sottile filo”, questa volta non di seta, ma di quella pur sempre delicata e preziosa narrazione che fa del passato il “bozzolo” da cui la “crisalide” del presente spiccherà il volo. Questo metaforico storico passaggio natural-evolutivo della storia condivisa dalle generazioni di Anita/Adalgisa prima e di Menotti/Mariano dopo è contrassegnato dalla scelta di Aurora Cantini di cambiare il registro linguistico passando da quello prosaico a quello poetico.

Menotti e Ricciotti Garibaldi
Menotti e Ricciotti Garibaldi

L’inserimento di alcune liriche della stessa Aurora Cantini, a forte marca storico-paesaggistica, così come di alcune digressioni lessicali volutamente di matrice dialettale, sono riuscite ad ancorare perfettamente, in modo alquanto realistico, la vicenda narrata dalle due donne in forma diaristica, alla loro rispettiva appartenenza territoriale. Ecco così che dal Brasile alla Valle Seriana, dal passato al presente, il passo è breve per la penna di Aurora Cantini, che ci tiene a sottolineare come qualsiasi distanza si dissolva allorché sia la vicinanza condivisa delle emozioni e dei sentimenti del cuore a dominare la scena delle relazioni interpersonali. Libro patriottico, romanzo d’altri tempi, si direbbe quest’ultima fatica narrativa di Aurora Cantini, che sa però risvegliare, anche nel lettore italiano più pigro, quel sano nazionalismo, quell’amore passionale per la propria Terra, sia essa lontana o vicina, grande o piccola, che dovrebbe sempre ardere nel cuore di ciascuno di noi. Ma chi era realmente Anita Garibaldi? Ana Maria De Jesus Riberio, terza di dieci figli, nasce nell’estremo Sud del Brasile, nello stato di Santa Caterina, vicino alla città di Laguna, esattamente a Morrinhos, il 30 agosto del 1821. Provetta cavallerizza ed esperta nuotatrice, pur avendo ricevuto solamente un’educazione elementare, dimostra fin da subito intuito ed intelligenza. Con la morte prematura del padre, i Riberio cadono in estrema povertà e Anita, ancora giovanissima (aveva solo quattordici anni), si vede costretta dalla madre ad accasarsi, onde potere sanare la difficile situazione economica della famiglia. Il matrimonio con Manuel Giuseppe Duarte, calzolaio, occasionalmente pescatore, conservatore e reazionario, dura pochi, difficili anni. È il 1839 quando Giuseppe Garibaldi, sfuggito alla condanna a morte in contumacia per avere partecipato ai moti carbonari e per essere iscritto alla “Giovane Italia” di Mazzini, approda sulle coste del Brasile, a Laguna, per costituire la Repubblica Juliana. Dalla sua nave scruta la terraferma con un cannocchiale e scorge un gruppo di ragazze che passeggiano lungo la riva. Fa calare una scialuppa per raggiungere e vedere da vicino quella che lo aveva particolarmente colpito: Anita. Da questo istante il loro leggendario legame sarà indissolubile, fino alla morte. Già nel 1840 si assiste all’attiva militanza di Anita tra le fila garibaldine. Sfiderà, infatti, il pericolo delle spinte secessioniste e fuggirà in ritirata raggiungendo la fazenda di San Simon a Mostardas sulle rive del Rio Grande do Sul, dove si ricongiungerà al suo amato Garibaldi. È qui che nascerà il primo figlio della coppia, Menotti, in onore di Ciro, martire del Risorgimento. Ad appena dodici giorni dal parto, un’improvvisa incursione costringerà Anita nuovamente alla fuga. Avvolto il piccolo Menotti in un fazzoletto legato ad una spalla e, strettoselo al seno, Anita fuggirà a cavallo. Garibaldi la ritroverà poi esausta al margine di una foresta. Il 27 dicembre del 1847 i coniugi Garibaldi sono a Nizza, ma l’eroe dei due Mondi già pensa di partecipare agli eventi italiani del 1848. L’anno successivo, infatti, proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, Garibaldi viene proposto deputato e Anita, incinta di quattro mesi, lo raggiunge a Roma, mossa dalla condivisione degli stessi ideali e forse anche da quella gelosia che da sempre minava il loro burrascoso rapporto. Caduta la Repubblica di Mazzini, Anita con il suo José, come era solita chiamarlo, e con le camicie rosse fugge da Roma. Tagliatasi i lunghi capelli neri, indossata la divisa garibaldina, è ormai una combattente temeraria, una prode guerriera a cavallo dalle fattezze tutte maschili. I soldati di cinque eserciti li seguono e l’intenzione di Garibaldi e della sua armata è quella di raggiungere Venezia per sostenere la Repubblica di Mazzini. Il Generale e le sue truppe attraverseranno l’Appennino, trovando sempre sostegno presso le popolazioni locali. Molti avrebbero anche ospitato e curato Anita, che nel frattempo aveva contratto la malaria, ma lei vorrà solo proseguire al fianco di Garibaldi e dei suoi garibaldini. Raggiunta la fattoria dei conti Guiccioli, presso Mandriole, verrà ospitata da Stefano Ravaglia, fattore del conte, che adagerà Anita, ormai priva di conoscenza per la malattia e gli stenti, su un letto dove poco dopo spirerà fra le braccia del suo Josè. Le circostanze drammatiche non permetteranno a Garibaldi di rimanere a piangere la moglie. Sollecitato dal fedele capitano Leggero riprenderà, infatti, la via della fuga. I Ravaglia seppelliranno, nel frattempo, in un campo da pascolo chiamato “Pastorara”, il corpo della defunta Anita, che verrà trovato e tumulato da tre pastorelli dapprima nel cimitero e poi all’interno della chiesa di Mandriole. Al termine della II guerra di indipendenza, Garibaldi ritornerà a Mandriole per ritirare le spoglie di Anita e trasferirle al cimitero di Nizza dove rimarranno fino al 1931 quando il governo italiano chiederà alla città francese di potere spostare i resti di Anita a Roma, sul Gianicolo, dove ancora oggi si può ammirare la sua statua equestre.

Queste brevi informazioni biografiche lasciano facilmente intendere come la vita di Anita Garibaldi, morta all’età di soli 28 anni, sia stata carica di veri e forti sentimenti, di rinunce e delusioni. Ma anche di estremo coraggio e di eroico senso di servizio verso gli ideali della nostra Patria. Per questa sua straordinaria personalità, ancora oggi, ogni anno, il 4 agosto, giorno della sua morte, sull’aia della fattoria Guiccioli, ora museo, si intonano le canzoni che parlano di lei. Un gruppo di giovani in divisa garibaldina, con fucili ad avancarica, agli ordini di un ufficiale, sparano a salve al grido: «In onore di Ana di Riberio Garibaldi!».