Don Bepo Vavassori e quell’amore infinito verso i trovatelli

Don Bepo Vavassori e quell’amore infinito verso i trovatelli

1972 Amora Bassa don Bepo Vavassori

45 anni fa, il 5 febbraio 1975,  moriva don Bepo Vavassori.
L’uomo che voleva dare una famiglia ai trovatelli. L’uomo che amava sopra ogni cosa la Mamma Celeste e per questo desiderava che ogni bambino su questa terra avesse l’abbraccio di una mamma. L’uomo che, senza un soldo, nel 1927 trovò un terreno dismesso alla periferia di Bergamo e lì decise che sarebbe sorto un luogo in cui i bambini avrebbero potuto correre, giocare, crescere e amare. Aveva già pensato anche al nome: “La Città dei Ragazzi“. Ne transitarono a migliaia da allora, fanciulli senza più casa a cui tornare, nè sorriso. Impararono a vivere, a pregare, ad apprendere un lavoro. Impararono perfino a mangiare.

Col tempo quella “città” divenne il Patronato San Vincenzo, che si diffuse a macchia d’olio, portando la sua opera di accoglienza fino in Bolivia. Don Bepo aveva il culto della povertà, povere le sue vesti, povera la camera, povero l’arredamento, ma per i ragazzi donava tutto, loro erano il suo respirto, il suo cuore, i suoi muscoli, la sua vita stessa. Bambini, ragazzi, profughi, malati, senza lavoro, allo sbando, disabili… quelli che nessuno voleva, gli scarti. Ma per ognuno di loro don Bepo ricreava un nuovo inizio, una nuova storia, un nuovo cammino. Mano nella mano, passo dopo passo, fianco a fianco… Don Bepo e i suoi ragazzi. Un uomo che fu padre per oltre 50 mila ragazzi, che ritrovarono un futuro, una luce, una finestra da cui guardare il cielo.

L’ho inserito anche nel mio romanzo “Il bambino con la valigia rossa” dedicato ai bambini trovatelli del Brefotrofio di Bergamo.

Una pagina del romanzo “Il bambino con la valigia rossa” dedicata a don Bepo Vavassori

IL BAMBINO CON LA VALIGIA ROSSA, il romanzo sull’infanzia abbandonata al Brefotrofio di Bergamo

Io stessa l’ho incontrato di persona da bambina l’8 ottobre 1972 ad Amora Bassa, quando benedì la targa sulla facciata della casa natale dei fratelli Carrara morti nella Grande Guerra, di cui era stato commilitone.

Don Bepo visse la tragedia della Prima Guerra Mondiale come tenente cappellano di fanteria e dovette raccogliere le lacrime e i pensieri delle centinaia di compagni che caddero accanto a lui. Spesso celebrava la messa prima dell’attacco, lassù, vicino al cielo, su un altare provvisorio abbarbicato sul costone. Non poteva fare null’altro per i suoi giovani compagni se non benedirli e abbracciarli. Diceva che i loro cuori puri e innocenti li avrebbero portati direttamente vicino a Dio.

Conosceva i fratelli Carrara, in particolare il possente Sergente Celestino Elia, di cui era coscritto (erano nati entrambi nel 1883).

Seppe della morte di uno dopo l’altro dei fratelli con grande dolore, un dolore di fratello per quei fratelli così duramente colpiti dalla vita. Quando venne a sapere della morte del loro papà Angelo, nel 1919, confortò come meglio poteva la moglie Maddalena e quando il Sergente Celestino Elia tornò disperato e ferito dal fronte dopo 41 mesi di guerra, gli stette vicino e lo indirizzò verso i più famosi luminari dell’Ospedale di Bergamo, aperto nel 1930. Ma il Sergente morì nel 1932, sempre invocando, nel delirio del dolore per le ferite, i fratelli morti e rimasti per sempre su quelle lontane e impervie rocce straniere.

Un libro dedicato ai bergamaschi fratelli Carrara nel Centenario della Grande Guerra

Quando finalmente l’8 ottobre 1972 venne apposta una targa con  i loro nomi sulla facciata della casa dove i fratelli Carrara nacquero ad Amora Bassa, don Bepo Vavassori era lì, a benedirli nel loro fulgido e struggente ricordo.

8 ottobre 1972, ad Amora Bassa,  inaugurazione targa sulla facciata della casa Caduti Carrara don Bepo Vavassori

Grazie don Bepo per aver amato i miei giovani prozii Caduti. Grazie per averli ricordati con le tue preghiere.