Le nostre nonne sempre con la corona del rosario in mano…una corona contro il coronavirus

Le nostre nonne sempre con la corona del rosario in mano…

Una corona contro il coronavirus

Anni Ottanta, il rosario del pomeriggio: Ida, zia Maria del Bernardino e nonna Elisa Dolci sedute fuori casa nella contrada Amora Bassa, montagne bergamasche. Sempre con la corona del rosario in mano.

Non avrei mai pensato di dover scrivere di una strage, oggi negli Anni Duemila. Non avrei mai pensato di dover scrivere di soldati e militari e bare accatastate e conteggio di morti in aumento di ora in ora, come in un bollettino di guerra.

Non avrei mai pensato di dover scrivere di quarantena, isolamento forzato, silenzio e incertezza. Eppure sta capitando. A me, a noi. A voi. Al mondo intero.

La mia guerra è sempre stata quella lontana di cento anni fa, di un fronte gelido lungo 650 chilometri sulle creste di montagne oggi scrigno di bellezza, e di Caduti dal viso antico, affissi su lapidi che si scoloriscono alle intemperie e delle quali ci si ricorda solo alle cerimonie ufficiali o agli eventi celebrativi.

Una guerra sepolta dall’oblio, dove solo i volti di qualche giovane soldato, che solo pochi irriducibili e tenaci tengono vivi con le parole e con il ricordo, riescono a raggiungerci.

Ho avuto 5 prozii partiti per il fronte della Grande Guerra, insieme a milioni di altri ragazzi e padri di famiglia. Quattro di essi sono morti per la Patria, da Eroi.

Un libro dedicato ai bergamaschi fratelli Carrara nel Centenario della Grande Guerra

Dimenticati per decenni, sono riuscita a ricostruire, anche se solo parzialmente, la loro storia. Ma alla fin fine, quando mia nonna Angelina, una delle loro 6 sorelle, mi raccontava di loro, era come se raccontasse una storia, una leggenda.

Non capivo quello che avrà davvero provato davanti a quel telegramma di morte. Davanti a quell’unica fotografia rimasta. L’unica cosa rimasta di un ragazzo partito una mattina dalla sua cascina di montagna, senza quasi nemmeno salutare, una carezza e un abbraccio: “Andrà tutto bene, mamma! Tornerò papà!”. Di quelle parole, pronunciate magari in dialetto, non rimase che l’eco nel cuore di una mamma. Nessuna tomba, nessun corpo. Solo cenere. Solo pianto. Migliaia e migliaia di ragazzi (quasi 600 al giorno) mai più tornati a casa. Mai più rivisti vivi.

Una inutile strage. Una intera generazione perduta. Ma il mondo, la vita, i giorni, sono andati avanti e quei milioni di ragazzi, quell’intera generazione perduta, sono diventati semplici numeri su albi d’oro, verbali in vecchi libri ammuffiti, statistiche e saggi sui libri di storia. Ma oggi…

L’angoscia più lacerante, nella poesia di Aurora Cantini

Oggi sento in tv quelle stesse definizioni: “inutile strage”, “un’intera generazione perduta”. I nostri vecchi. I nostri nonni. Bare accatastate le une sulle altre, morti registrati come in un bollettino di guerra. L’unica cosa rimasta di nonni, nonne, genitori, fratelli e sorelle portati via senza quasi nemmeno salutare, una carezza e un abbraccio: “Andrà tutto bene! Tornerò!”. Migliaia e migliaia. Mai più rivisti vivi.

Uno dopo l’altro caduti come foglie d’autunno. Ora sto provando sulla mia pelle la paura, il dolore, il disorientamento, il dispiacere che può aver provato mia nonna Angelina, la mia bisnonna Maddalena, le altre donne  della contrada, le zie, davanti al nulla, i corpi mai più tornati a casa dei loro figli, dei loro nipoti, dei loro fratelli.

Sacrario di Redipuglia: piccoli loculi uguali tutti in fila, poche ossa per oltre 100.000 giovani soldati Caduti
Cimitero sul Monte Sabotino: piccole lapidi uguali tutte in fila, poche ossa per centinaia di giovani soldati Caduti
Bergamo: semplici bare uguali tutte in fila, per migliaia di ex giovani Caduti per il coronavirus

Solo ora mi rendo davvero conto di cosa significasse per mia nonna, per le nostre nonne, la recita del santo rosario. Mia nonna e le altre avevano sempre con sé la corona.

Sedute sulla panchetta, vicino al camino, fuori dal portone, sull’aia, mentre sferruzzavano o pulivano le cicorie, ecco che una cominciava: “Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo…” Solo ora mi rendo davvero conto di cosa significasse per le nostre nonne la parola “Provvidenza”.

Avevano già sperimentato quello che noi oggi, ancora increduli e sconcertati, stiamo sperimentando. Ma a differenza nostra loro accettavano, chinavano il capo e andavano avanti. Affidandosi all’unico appiglio, all’unica ancora per non impazzire. La Fede.

Quella corona del Rosario in mano davanti alla foto di quattro figli perduti. Umilmente consapevoli, anche se non avevano studiato, di essere poca cosa, piccole foglie trasportate dal vento dell’immenso. Consapevoli di essere solo di passaggio su questo mondo. Di essere ospiti. Non padroni. Una corona come scudo dell’anima. Una corona contro il coronavirus.

2 Risposte a “Le nostre nonne sempre con la corona del rosario in mano…una corona contro il coronavirus”

  1. Davvero momenti terribili.
    Ogni volta che passa una sirena o sento volare l’elicottero del 118 penso a chi si avvia all’ospedale e dà un saluto, forse l’ultimo, ai parenti in lacrime che non possono accompagnarlo e forse non lo vedranno più.
    Mai avrei pensato di vivere questi giorni. Mai.
    Spazi limitati di movimento ma la grande fortuna di avere la mia mamma che ha 90 anni nello stesso cortile ed anche di avere la Chiesa aperta a 50 m. e nel pomeriggio l’esposizione del SS Sacramento.
    La preghiera ci aiuta, ci conforta, ci dà il coraggio di guardare avanti.
    Ma quanto è difficile. Le figlie e il nipotino lontane viste solo grazie al computer o al telefono. Abbracci virtuali ma intensi, baci lanciati con le mani ma con il cuore aperto.
    Quando vi riabbraccerò…
    Preghiamo e andiamo avanti.
    Un forte abbraccio
    Luciana

    1. Ciao Luciana,
      ho rivisto L’Albero degli Zoccoli, ho toccato con mano la fede antica delle genti contadine!
      La corona del rosario in mano, simbolo di speranza!
      Auguri!
      Aurora

I commenti sono chiusi.