Alfonsina Strada, l’unica donna al Giro d’Italia maschile

L’unica donna al Giro d’Italia maschile, Alfonsina Strada

Alfonsina Strada era nata con la bici. Sognava davvero di pedalare fino alle stelle. La polvere e il sudore erano suoi compagni. Ma nulla scalfivano della sua femminilità.

Fu l’unica donna  a correre il Giro d’Italia insieme agli uomini. Nacque in un casolare di campagna nel 1891, in provincia di Bologna. Era la secondogenita di 10 figli di due braccianti agricoli emiliani.  Fin da subito quella bambinetta dal viso rotondo come la luna piena dimostrò di avere qualcosa di diverso, rispetto agli altri bambini della sua contrada. Era coraggiosa, quasi impertinente, sempre pronta alla battuta. Nulla la spaventava, non il parroco, non le figure maschili, non gli adulti. A 10 anni ecco il colpo di fulmine. Il papà Carlo acquistò una vecchia bicicletta dal dottore del paese, in cambio di qualche gallina. Gli sarebbe servita per velocizzare i suoi spostamenti nei vari lavori campestri e di manovalanza del circondario.

Alfonsina  si accaparrò subito della bici, neanche riusciva a toccare terra con i piedi. Ma quella bici la faceva volare.  Invece di andare a messa, come raccontava ai genitori, lei andava  a pedalare. Cercava le gare. Ben presto riuscì a inserirsi nelle varie competizioni dilettantistiche dei dintorni, pedalando, sudando, ma anche vincendo.

La famiglia intervenne. Alfonsina era una femmina, e le femmine dovevano stare in casa, ad accudire figli e marito. L’ultimatum fu irremovibile. Basta bicicletta. Doveva trovarsi un marito. Ma fu proprio il marito, Luigi Strada, a farle scoprire il vero mondo delle due ruote. Come regalo di nozze le donò  una bici nuova e la coppia si spostò a Milano. Nella grande città la giovane sposa poté allenarsi davvero.

4 novembre 1917, ecco la tredicesima edizione del Giro di Lombardia. Alfonsina Strada era  l’unica donna contro 53 uomini. Riuscirono a terminare la gara solo 28 concorrenti, e Alfonsina, sebbene in ultima posizione, era tra essi. L’avventura si ripeté l’anno successivo, con 36 concorrenti, di cui solo 22 al traguardo. Tra essi sempre Alfonsina, che questa volta scalò una posizione in classifica.  Ma lei sognava  il Giro d’Italia.  Purtroppo  il marito stava male, venne ricoverato in manicomio, da dove non uscirà più.

La ragazza doveva ritornare a casa. La povertà ghermiva  genti e contrade, la Prima Guerra Mondiale aveva scavato solchi tragici e incolmabili. In famiglia avevano  bisogno di lei. Solo nel 1924 finalmente poté sollevare lo sguardo dalle fatiche nei campi accudendo i vecchi genitori e gli animali.

E scoprì che l’orizzonte l’aveva sempre attesa. La strada era ancora sua amica. Il Giro d’Italia era quello della ripresa. Alfonsina si presentò  per l’iscrizione. Il fatto che fosse una donna, e che donna! Incuriosiva  gli organizzatori, che ne videro una occasione per  ridare fiducia al paese e una spinta di speranza alle folle e agli appassionati. 10 maggio 1924, numero di gara 72, Alfonsina era pronta alla prima tappa: Milano-Genova, 300 chilometri di  sofferenza e incubo. Un’ora di distacco dal primo corridore. aLFONSINA CI CREDEVA, NONOSTANTE TUTTO. ma la tappa NUMERO 8 fu la devastazione: L’Aquila–Perugia era davvero pesantissima, e Alfonsina arrivò al traguardo fuori tempo massimo.  Doveva andarsene. iL PIANTO DI aLFONSINA SI MESCOLAVA AL PIANTO DEL CIELO.

Alfonsina Strada

Invece il direttore della Gazzetta dello Sport le concesse di proseguire. ormai il suo nome era curiosità vivente, una leggenda. Una donna che stava tenendo testa ad un mondo di uomini. Una donna “volante”. Alfonsina accettò di terminare il Giro coprendo tutte le tappe, 3618 kilometri. Solo altri 29 corridori su 90 riuscirono a portare a termine l’impresa.

La giovane donna  pregustò il successo, già pensando all’edizione successiva, dove avrebbe fatto meglio. Ma per lei non c’era più spazio.

Amareggiata, colpita nel profondo delle sue convinzioni, Alfonsina cercò di continuare a correre, esibendosi, mostrandosi, esponendosi nel suo essere donna in bicicletta. Una vita di ricordi, di sogni, di illusioni cullate sui pedali, di ocnfini superati, di cammini intrapresi. Lacrime, cadute, rabbia, dolore, gioia, esultanza.  Vita da vivere fino in fondo.

La giovane donna “volante” che aveva anticipato il sogno  del ciclismo al femminile,  se ne andò nel 1959 a causa di un infarto. Quel grande cuore che l’aveva sostenuta nelle sue scalate al mondo, cedette al tempo.  Ma il seme di un cambiamento già germogliava.

LA POESIA DEDICATA ALLA MIA BICICLETTA ROSSA