Non siamo più capaci di conversare

Non siamo più capaci di conversare

Non siamo più capaci di conversare e l’ascolto è in via di estinzione. Lo dice il filosofo David Le Breton che ha dedicato anni a studiare la conversazione. Il silenzio, il rumore e l’impatto delle tecnologie sulle nostre vite. Conversare e comunicare sono due cose diverse.

La conversazione richiede un faccia a faccia, la tensione verso l’altro, la capacità di osservare le sue espressioni e ascoltare silenziosamente. Oggi invece spesso quando parliamo a tu per tu siamo interrotti dallo squillo del cellulare, da un messaggio che dobbiamo leggere, a cui dobbiamo rispondere. Perciò la presenza dell’altro davanti a noi diventa secondaria.

E così svanisce la capacità vera della conversazione, perché la persona che hai di fronte viene quasi cancellata dalla realtà virtuale. Oggi comunichiamo tantissimo. Comunichiamo ogni singolo aspetto della nostra vita. Ma non conversiamo. Noi tendiamo ad esprimere tutto quello che è il nostro IO anziché ascoltare ed è una caratteristica ormai prevalente delle nostre società. Il nostro in realtà è un mondo di individui senza orientamento comune. Abbiamo una miriade di alternative che ci subissano di proposte. Non ci sono punti di riferimento condivisi. E qui entra in gioco una capacità che ormai è in via di estinzione. La capacità di ascoltare. Implica la preoccupazione verso l’altro. Implica un sentimento di solidarietà che tende a scomparire.

La conversazione autentica non è fatta di messaggini o di semplice esposizione di quello che ho fatto io (perché in realtà di quello che  hai fatto tu mi interessa poco…). Necessita di disponibilità, attenzione, interiorità, silenzio e grande grande empatia. Soprattutto la conversazione necessita di cercare lo sguardo dell’altro.  Le parole.

Ogni parola è preceduta da una voce, da un silenzio, un sogno a occhi aperti pieno di immagini e pensieri. Quando noi conversiamo la parola attraversa le nostre labbra e si trasforma. Perché nel momento in cui si depone nel cuore dell’interlocutore lui poi la fa sua, la interiorizza e crea la frase successiva. Poi c’è il silenzio che permette di assimilare, assaporare, comprendere, analizzare le parole scambiate, che sono state generate. In questo momento di conversazione è importante il silenzio. È il luogo dell’altro nello scambio. Non è un qualcosa di passivo, perché a volte è meglio tacere che buttare fuori miriadi di parole senza senso. Ma il silenzio ci fa paura. Tendiamo a riempirlo di tutto e con tutti. Il problema sono soprattutto i giovani cresciuti con internet e cellulari che modellano la loro identità e il loro rapporto con il mondo.

Sono vulnerabili. Inviano centinaia di messaggi telefonici al giorno, con i quali si mantengono in contatto. Ma tutto a distanza. Perfino la telefonata vocale vera e propria viene utilizzata ormai pochissimo dai giovani. Ma perché? Perché fa paura la conversazione e il confronto tra la tua parola e la parola dell’altra persona all’altro capo del telefono. Fa paura perché si teme che questa conversazione diventi incontrollabile, prenda una piega che nessuno di noi riesce a prevedere. La conversazione è in via di estinzione.

In uno studio europeo del 2008 già si mostrava come nelle famiglie dotate di connessione internet diminuivano le capacità di empatia, le attività in comune, con meno uscite. Meno chiacchiere a tavola, meno attività. E lo stesso nel rapporto con gli amici. Le responsabilità sono legate alla globalizzazione e alla colonizzazione della vita quotidiana da parte degli strumenti digitali. La maggior parte di noi è prostrata davanti al cellulare in una quasi forma di ipnosi. Infatti anche il momento del pasto in famiglia, un tempo luogo di intenso scambio, tende a ridursi nel ritrovo di zombie distratti. Non ci sono soluzioni se non la capacità personale di camminare insieme all’altro e creare una sorta di resistenza alla colonizzazione digitale. Dobbiamo essere noi ad attivarci. Ognuno nel proprio intimo riprende in mano la propria identità di parola e cerca lo sguardo dell’altro, non solo per mostrare quanto di bello ha saputo e sa fare, creare, vivere e conquistare, guadagnare e raggiungere come traguardi. Ma per chiedere all’altro: «Come stai? Va tutto bene? Hai bisogno di qualcosa? Io ci sono! Conta su di me!»