Da Venzone a Gemona, nel simbolo del Cristo sbrecciato

Da Venzone a Gemona, nel simbolo del Cristo sbrecciato

Il Cristo Mutilato di Gemona, ritrovato sotto le macerie del terremoto del 6 maggio 1976.

Erano le 21 del 6 maggio 1976 quando in un minuto  il mondo si capovolse. Il Friuli venne sbriciolato da una scossa di terremoto magnitudo 6.5. Era quasi buio, verso le 21.  Una morsa, uno stritolare di uomini e cose, opere di un possente Orco, che avvinghiò 137 paesi, 3500 chilometri quadrati completamente distrutti. La scossa venne avvertita in tutta l’Italia centro-settentrionale e in Europa, fino in Olanda. Quasi mille morti. Pianti nel silenzio raccolto di quello che restava delle case. Oltre 200mila le persone sfollate, rimaste senza casa.

DA VENZONE…

Venzone fu il più colpito. In un istante 47 persone innocenti scomparvero tra le macerie e la polvere.  Il paese era un cumulo di detriti.  L’antico borgo medievale, con edifici storici di pregio, non aveva retto all’immensa tenaglia.

Non entro nei dettagli di quella straziante tragedia che ha cambiato la storia italiana. Io voglio parlare di ricostruzione. Di speranza.  Io ci sono stata a fine dicembre 2021, per ricordare il 45esimo anniversario, e ho trovato una cittadina elegante e operosa, linda e pulita. Le antiche mura perimetrali, i vicoli storici, le chiese e le piazze, tutto racconta di storie antiche e secolari. Venzone fu un punto nevralgico del traffico di carovane e commerci,  prima con  i Celti, poi con i Romani, poi ancora con la Repubblica di Venezia.

Le ferite del terremoto sono ben nascoste.  Con dignitoso riserbo la nostra guida ci ha portati a scoprire le tracce lasciate dal graffio dell’Orco, come ad esempio la linea delle pietre nuove lasciata in evidenza sulla parte lesionata, come una linea che separa la morte dalla vita.  O la chiesa di San Giovanni Battista, di cui è rimasta solo la facciata principale, che si erge orgogliosa nella sua lacerata presenza. Oppure le tracce dell’acqua dello straripamento del fiume Tagliamento che,  invaso da detriti, pietre, terra, alberi caduti e sterpaglie, aveva trovato la sola via di fuga tra le macerie e le case diroccate.

Fu immediatamente costituito un “Comitato di coordinamento per il recupero dei Beni Culturali” formato da volontari e professionisti qualificati, che ha permesso il recupero di ogni reperto artistico e architettonico. Una Petizione Popolare con 645 firme approvò la scelta di ricostruire Venzone “dov’era e com’era”. Per rendere la ricostruzione più veloce, la responsabilità amministrativa venne affidata all’Amministrazione Regionale e venne dato potere ai singoli Sindaci di operare e dirigere la ricostruzione.

Lo Stato mise a disposizione i mezzi economici, la Regione definì un’adeguata normativa, i Comuni la applicarono e i privati procedettero alla ricostruzione. (cit.web)

Gli abitanti, uomini, donne, ragazzi, fanciulli, accanto ai volontari giunti da ogni angolo d’Italia dedicarono ogni respiro affinché Venzone ritrovasse la luce. Si catalogarono i manufatti rimasti intatti, si ammassarono pietre e murature, si fotografarono luoghi e angoli, vicoli e edifici, case e opere. Come in un puzzle, si cominciò a ricomporre la vita. I lavori terminarono ufficialmente nel 1995. Oggi Venzone è il simbolo della rinascita.

L’orgoglio friulano aveva vinto il destino.

… A GEMONA

L’altro centro colpito quasi mortalmente fu Gemona, con i suoi 370 morti e oltre 4000 edifici distrutti o danneggiati. Il dramma di Gemona la rese la Capitale del Terremoto.

La zona a nord di Udine fu quella più distrutta. Majano, Buja, Gemona, Venzone, Osoppo, Magnano, Artegna, Colloredo, Tarcento, Forgaria i comuni più colpiti dalla tragedia, assieme alla fascia pedemontana. Case crollate, edifici piegati dalla forza implacabile del terremoto. Quelle successive alle 21 del 6 maggio, furono ore febbrili e disperate di lotta contro il tempo, nella speranza di cogliere ogni flebile segnale di vita delle persone intrappolate sotto le macerie. Molti, poi, morirono nei mesi successivi a causa delle ferite riportate, senza che tuttavia il loro decesso fosse annotato come conseguenza del sisma. (CIT. WEB Terremoto del Friuli, Cronaca)

 Mi ha colpito molto la frase che campeggia in ogni angolo di Gemona e Venzone: “Il Friuli ringrazia e non dimentica”.

Il primo impegno al quale dovettero far fronte le squadre di soccorso fu quello del salvataggio dei feriti e del recupero delle salme, cercando nel contempo di ripristinare le comunicazioni e rendere possibile il coordinamento degli aiuti.
In quei giorni drammatici è accaduto di vedere collaborare soccorritori di paesi diversi, tutti con lo stesso impegno; e anche oggi ci rendiamo conto dell’importanza che ha avuto la solidarietà internazionale.
È doveroso ricordare che a questo slancio di solidarietà presero parte reparti dei Vigili del Fuoco, dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri, di P.S., della CRI e numerose unità militari provenienti da Austria, Canada, Francia, Germania, Jugoslavia e USA.

Da questa esperienza sul campo nacque il Servizio Nazionale della Protezione Civile.

Una parola a parte va spesa per l’Associazione Nazionale Alpini, che fin dai primi giorni organizzò numerosissimi volontari: a meno di un mese dalla tragedia sorsero il Centro Base Operativo per la raccolta dei materiali che stavano affluendo da tutta Italia, e i primi cantieri di lavoro. Nel corso dell’estate di quell’anno oltre 15.000 ex alpini si alternarono al svolgere le loro ferie di lavoro in Friuli. (cit. Web articolo)

Gli Alpini erano già intervenuti nel 1923, con il Disastro della diga del Gleno, poi nell’alluvione del Polesine nel 1951, e ancora, con il disastro del Vajont nel 1963. Ma è con il terremoto del Friuli che si crea un coordinamento dinamico e univoco. Ben 11 cantieri aperti. Molti bergamaschi affluirono in friuli, e devo dire con orgoglio che tra essi c’era anche il mio papà. Contributi anche dagli USA direttamente agli Alpini, che li girarono subito ai sindaci. Fino al 1982 lavorarono, all’insegna dello Slogan “dov’era e com’era”. È dal Friuli che nasce la Protezione Civile come Ente, che diventa realtà con la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino, nel 1981. I primi nuclei della Protezione Civile nacquero nel 1980 e subito dopo il primo Ospedale da Campo.

La Mostra fotografica Permanente sul terremoto “1976 Frammenti di Memoria” è di un impatto che lascia senza fiato. Video interattivi proiettati a ciclo continuo, oggetti e frammenti, fotografie e reperti. Numerosissime istantanee donate da alcuni fotografi locali e nazionali, assieme a testi, testimonianze e filmati, narrano per immagini la storia del sisma del 6 maggio e della ricostruzione, con l’obiettivo di «conservare la memoria» del terremoto e far emergere «la drammaticità dell’evento e la forza di un popolo di risollevarsi dalla polvere».