30 aprile 2007. quel giorno sono salita alla diga, con la mia famiglia, e sono entrata in un santuario sotto il cielo. Per il mio cuore un infinito pianto, urlato con gli occhi e con il pensiero, nel silenzio quieto della giornata di primavera, il silenzio della valle aperta verso Longarone, laggiù, con il suo indaffarato movimento. ma anche con il suo Sacrario bianco tra le righe nere dei nomi simili a lacrime, e le piaghe ancora marchiate sui bastioni della roccia. Tante lapidi allineate, uomini, donne, bambini divisi dalla vita, ma uniti dalla terra.
Lo scroscio del torrente, le casette di Casso come ancora pericolanti, quasi indecise se andare giù, seguire il passato, o invece rimanere aggrappate al presente, al futuro.
Erto è dall’altra parte, più dietro, tra gli alberi che hanno ripreso a stendere le loro radici, pietosi verso coloro che per sempre rimarranno quassù, mescolati alla terra. La faglia di cicatrice balza agli occhi come un serpente scuro, immobile, mentre tutto intorno il vento tace sospeso.
BEPI ZANFRON
A monte della diga ecco un uomo anziano con il suo birrocino e la macchina fotografica. È Il fotografo Bepi Zanfron, fotoreporter autore del libro testimonianza Vajont 9 ottobre 1963, cronaca di una catastrofe.
Bepi Zanfron collaborò anche al film di Renzo Martinelli “Vajont”.
Fu il primo ad accorrere per portare soccorso, per avere notizie, per aiutare e consolare. Sempre distinto, elegante, sommesso nei modi e nel portamento, parla alla gente che lo vuole ascoltare. racconta il suo Vajont, instancabile testimone, “perché”, dice, “loro ce lo chiedono, non dobbiamo lasciarli soli. Vengo qui tutti i giorni, tutto l’anno, faccio loro compagnia, tanti li ho tolti dal fango, li ho ripuliti, di molti invece ho trovato solo una scarpa, un giocattolo, una babbuccia. Da quel giorno sono cambiato, e ringrazio Dio per avermi donato la vita. Diversi giorni ho trascorso quassù, con incontri e incontri, lacrime e lacrime, silenzio e silenzio.”
Quando ho iniziato a scrivere il mio romanzo “Come briciole sparse sul mondo“, per raccontare le storie di coloro che erano dentro la Torre Nord, ho pensato a lui, Bepi Zanfron, quando mi ha detto: “Io continuerò a fotografare, lei continui a scrivere. L’importante è far parlare la Vita.”
Qui le immagini degli articoli completi in occasione del Quarantesimo Anniversario
IL DISASTRO DELLA DIGA DEL GLENO
Infine come non ricordare il “nostro” Vajont bergamasco. la Diga del Gleno SI è spezzata in due tronconi, il 1 dicembre 1923, con 500 morti.