Viaggio della terra dei colori: Caserta, Napoli, Costiera Amalfitana

VIAGGIO NELLA TERRA DEI COLORI

Reportage a Caserta, Napoli e Costiera Amalfitana

Il reportage pubblicato su L’Angelo in Famiglia, Parrocchia di Gazzaniga

Grande emozione e ricordi incancellabili sono rimasti nel cuore di coloro che hanno vissuto il magico viaggio a Napoli e Costiera Amalfitana organizzato dalla Parrocchia di Gazzaniga dal 28 aprile al Primo maggio.

Una compagnia di 52 entusiasti “esploratori della vita”  sotto la guida attenta e sollecita di don Luigi e di don Angelo.

Caserta, il gruppo di Gazzaniga

Partenza in una alba ancora buia all’insegna del tempo bello e stabile. Vecchi e nuovi partecipanti hanno subito intrecciato storie, conoscenze e legami con Gazzaniga e la sua bellissima comunità. Un percorso che vale quasi come il giro d’Italia, circa 800 chilometri attraverso la spina dorsale degli Appennini, tra paesaggi dolci e morbidi, vallate scoscese e paesini arroccati sulle alture. Tappa a Orvieto, dopo 502 chilometri, un borgo quasi inglobato nella roccia, le mura che lo avvolgono come uno scrigno sullo sperone a picco. La facciata del maestoso Duomo ha incantato e aperto il cuore all’armonia. Pranzo ricco e abbondante con specialità del posto, poi via! Veloci verso lei, la Regina delle Regge.

Orvieto, Duomo

Caserta ci accoglie silenziosa e quasi anonima, ma dietro la curva di un modesto viale di città, appare imponente e quasi infinita nella sua grandiosità, la facciata della Reggia dei Borboni, la dinastia che regnò sul Sud Italia fino al 1861.

Realizzato dal grande architetto Luigi Vanvitelli nel 1750 su richiesta del re Carlo di Borbone, il Palazzo Reale è tra i più sontuosi al mondo, 1200 stanze, 1790 finestre altissime, 34 scale di collegamento e 4 cortili interni. Lo sguardo non riesce a contenere tanta sublime bellezza. Più sfarzoso di Versailles, più ricco di ogni altro palazzo, l’edificio si offre nei suoi saloni dorati, statue e decorazioni preziose, migliaia di libri e suppellettili, damaschi e sete preziose ad abbellire pareti e locali. La guida turistica ingaggiata in loco ci munisce di auricolari, vera sorpresa di questo tour, e con  preparata e puntuale esposizione ci racconta le meraviglie di un mondo lontano, il Regno di Napoli, un tempo il centro del mondo. Davanti a noi, dopo le foto di rito, si apre l’infinito vialone lungo tre chilometri che dà inizio al magnifico parco, vero gioiello della Reggia, che si dipana tra fontane e cascate, laghetti e statue di fauni e ninfe, tra giardini e boschetti. Il viale appare come una sottile linea verso l’orizzonte e, come ci dice la guida signora Fiorella, conduce dritto al mare, verso l’azzurro. Il tempo stringe, si fa sera, e si giunge infine al nostro hotel, posto poco fuori Napoli, a Qualiano.

Reggia di Caserta

Elegantissima la locazione, tutta sui toni del nero e del grigio, ci appare ben tenuta e dotata di ogni comfort. Cena tipica e curatissima, breve passeggiata nel giardino piscina e poi a nanna.

Sveglia alle 6.30, colazione, poi alla 7.30 pronti per scoprire Napoli.

L’impatto non è dei migliori: risalendo dal viale del porto immondizia e palazzoni fatiscenti, facciate scrostate, ma non ci scoraggiamo. Ci attende il Cristo Velato e tutto il resto scolorisce.

La signora Fiorella ci guida con piglio sicuro tra le stradine invase da lattine e rimasugli della notte, fino a giungere alla Cappella San Severo. Ci sono già code interminabili sia per l’acquisto dei biglietti che per l’entrata, e ancora non sono le 9. Ci immaginiamo come sarà durante la giornata.

Entrata lampo, vista la nostra prenotazione. Niente foto, please! Divieto voluto dalla famiglia, essendo Cappella funeraria privata. Ma è da rimanere senza fiato. Al centro della sala, un uomo, diafano nella sua immobilità, giace quasi esausto disteso su un basamento a forma di giaciglio, abbandonato nel sonno della morte, ma non rassegnato. Le braccia sciolte sui fianchi nella morbidezza dell’abbandono. Il sudario lo ricopre come a proteggere la sua dignità, la sua essenza più intima. Il volto sembra aprirsi verso l’alto, quasi in attesa di un richiamo, gli occhi chiusi, la bocca appena socchiusa. È il Cristo deposto dalla Croce. Ma tutto questo è marmo, è pietra che è divenuta storia, fede, tragedia e incanto per l’Umanità. L’Uomo dei dolori esce dal marmo e si fa Carne e Sangue. Si fa dolore e risurrezione. Come sia riuscito lo scultore Giuseppe Sanmartino, quasi sconosciuto, a trasformare il marmo in pura espressione di Fede è un mistero che ci riempie di ammirazione e quasi reverente timore.

La Cappella, costruita alla fine del Cinquecento come Mausoleo di famiglia dei Principi di San Severo, venne portata alla sua massima bellezza decorativa da Raimondo di Sangro settimo Principe di San Severo a metà del Settecento. Il geniale Principe, mecenate, letterato, inventore, editore, alchimista e Gran Maestro della Massoneria del Regno di Napoli, chiamò a lavorare presso di sé artisti di ogni calibro, per rendere omaggio ai propri antenati qui sepolti, e per creare un gioiello che oggi ha una fama internazionale. Ai lati della sala possenti statue incombono dall’alto: delicata e dolcissima la Dama velata, dedicata alla mamma del Principe Raimondo, morta a venti anni quando il figlio era piccolissimo. Oppure l’uomo della rete, una imponente statua realizzata da Francesco Queirolo per volere del Principe Raimondo e dedicata al padre Antonio, uomo dalla vita travagliata e inquieta, soprattutto dopo la prematura morte della moglie, rappresentato come un uomo che tenta di liberarsi dalla rete del peccato.

Nel sotterraneo ecco le macchine anatomiche basate su scheletri veri, realizzate dal dottor Giuseppe Salerno su richiesta del Principe di San Severo, studioso della scienza umana.

Il tour prosegue tra i vicoli di “Spezza-Napoli” un budello che taglia quasi in due la città, per approdare alla Via dei Presepi, a metà della quale campeggia la chiesa dedicata a San Gregorio Armeno. Una tavolozza di colori e sapori, miriadi di statuine di tutte le fogge e dimensioni, personaggi pubblici, politici e artisti, fanno bella mostra di sé sulle bancarelle. C’è da far girare la testa. I riti antichi di una tradizione secolare qui a Napoli si vivono tutto l’anno e la religiosità di questa gente solare e aperta è tangibile. Dalla signora Fiorella apprendiamo consuetudini particolari legate all’allestimento del presepe, dove non devono mancane il ponte (simbolo di unione tra questo mondo e il divino), tre angeli come minimo, le stagioni, ma soprattutto le “anime Pezzentelle” le anime del purgatorio. Incuriositi, andiamo alla loro ricerca. La bottegaia, alla nostra richiesta di un’anima “pezzentella”, prima di consegnarcela si fa il segno della croce e la bacia, recitando una giaculatoria: ci dice che è molto importante avere un’anima “pezzentella” nel presepe, perché sono i nostri morti che ci proteggono e ci aiutano.

Via dei Presepi, Napoli

La Basilica di San Gennaro risplende. Scopriamo che a Napoli si venerano ben 51 patroni, ma il principale è lui, San Gennaro, famoso per il prodigio del Sangue che si liquefa. Le ampolle, esposte nelle tre ricorrenze durante l’anno, quotidianamente sono custodite all’interno del busto del Vescovo coperto da un ricco mantello rosso.

Si prosegue tra  i vicoli caratteristici dove la fiumana di persone quasi soffoca il respiro, tra dolci e babà, sfogliatelle e bomboloni esposti in quantità indescrivibile, poi finalmente il riposo al ristorante. Il menù come sempre è sublime, una gioia per il gusto.

Si riprende. La metropolitana di Napoli è una delle più antiche: ma la stazione di Toledo è da visitare. Siamo a una profondità di 50 metri e gli architetti hanno realizzato sulle pareti un vero  e proprio mondo capovolto: dal basso si risale partendo dall’azzurro profondo del Mare, con le onde che sembrano accarezzarci, poi più su l’argilla e il legno, il cono di luce che sopra le nostre teste sembra proiettarci verso l’infinito, su tutto è color legno, caldo e avvolgente, infine i toni del nero, simbolo della superficie. Si esce sulla via pedonale denominata Via Toledo e si comincia a scendere verso il mare. Ai lati gli ingressi dell’intrico di vie dette “Quartieri Spagnoli” ci affascinano e ci attirano. Si prosegue lungo la Galleria Umberto I, poi si attraversa Piazza del Plebiscito, si giunge ad uno scollinamento lungo il viale… e là, sulla nostra sinistra, erompe il Vesuvio. Il grande vecchio! Davanti a noi Capri e la distesa del mare. Giù giù fino alla passeggiata a mare, Castel Dell’Ovo e gli Hotel dei vip.

Il Vesuvio, Napoli

Si risale lungo via Santa Lucia per giungere al Maschio Angioino. Un ultimo assaggio di colori e sapori, poi rientro in hotel. Messa e cena, relax e risate, infine, quasi ebbri di immagini e vorticare di suggestioni, ritiro.

All’indomani siamo elettrizzati per la giornata “al mare”.

Partenza come al solito alle 7.30 e arrivo al porto di Salerno dopo circa un’ora. Lungo il tragitto ci appare la mole spigolosa e imponente del Vesuvio che sembra accompagnarci.

Dal porto prima tratta in motonave: Salerno – Positano, della durata di 75 minuti. Scorre davanti agli occhi la splendida linea della costa, con  i suoi villaggi appollaiati come gabbiani, gli antichi monasteri sulle rocce e le caverne che occhieggiano a pelo d’acqua.

Il minuscolo borgo marinaro di Positano, oggi una delle più eleganti  e conosciute località balneari della costiera amalfitana,  si mostra come uno scrigno di perle gettato tra l’azzurro del mare e le scogliere a picco. Case addossate le une alle altre che si incastellano come un  puzzle, salendo lungo tutta la baia tra Punta Germano e Capo Sottile fino a livello della strada stratale. Viuzze caratteristiche tutte in salita e negozi multicolori di merletti, maioliche e ceramiche, stoffe e ricami ci inebriano. C’è ressa, tantissima, ma non è soffocante. La chiesa è armoniosa e bella, luminosa.

Non può mancare l’assaggio del primo sole, una passeggiata sulla spiaggia di sassolini bianchi già gremita e per qualcuno dei nostri (temerari!) anche il brivido del primo bagno.

Positano

Verso le 13 si risale in motonave, che punta verso Amalfi. Questa caratteristica città, la più antica delle quattro Repubbliche Marinare, è movimentata di turisti. Il caldo sole ci abbraccia e noi docilmente ci lasciamo incantare dai suoi portoni antichi, le sue scalette nascoste, le sue case bianche, arroccate sulla montagna, i suoi balconi fioriti, i suoi vicoli ombrosi. Dopo il pranzo come al solito ricco di specialità del posto, risaliamo la maestosa scalinata che conduce al duomo di Sant’Andrea. All’interno del Museo diocesano di Amalfi numerosi tesori preziosi e reliquie ci portano a raccoglierci in silenzioso omaggio e devozione.

Il rientro al porto di Salerno è carico di gioia e turisti, stipati come sardine sulla motonave, preludio di vacanze e di relax.

Amalfi, Duomo

L’ultima sera trascorre tra risate complici e gioviali battute in amicizia e simpatia.

La mattina seguente i pensieri sono già rivolti verso il Nord: c’è chi ha già sentito casa, chi ha interrogato lo smartphone circa le revisioni del tempo, chi imposta la mappa del tragitto. Un misto di dolce rimpianto e di attese acquietano per un istante anche i più ciarlieri.

Scorrono dai finestrini le immagini di un mondo quasi agli antipodi rispetto al nostro, dove la vita è quasi rallentata, un passo dopo l’altro come seguendo la risacca, aspettando un nuovo giorno. Paesini e strade quiete e dimesse, campagne verdeggianti tra casolari semplici. Poi le prime alture. Appaiono le vallate nascoste e pulite, le alture dolcemente verdi.

Su un costone, a circa 120 chilometri da Napoli, appare la mole candida dell’Abbazia di Montecassino. Una ripida strada a tornanti, quasi a precipizio sulla valle, ci porta sulla vetta del colle, a 530 metri di altezza. L’Abbazia è immensa, maestosa, sublime, trasuda spiritualità e potenza. Nel 529 San Benedetto scelse questa montagna per costruirvi un monastero per lui e i suoi monaci, dove ognuno potesse avere la dignità che meritava, attraverso la preghiera e il lavoro.

Nel corso dei secoli l’abbazia ha conosciuto momenti di prosperità e altri di distruzione, ma sempre è rinata sulle sue rovine, un inno al Creato e alla benevolenza dell’Altissimo.

Un silenzio quasi mistico ci avvolge, mentre esploriamo i suoi numerosi, misteriosi e ancestrali angoli. Chiostri, scalinate, celle e nicchie, balconi e belvedere dove lo spirito ritrova la sua essenza e la pace acquieta ogni affanno.

Abbazia di Montecassino

Nel febbraio 1944 l’evento più tragico, il bombardamento subito ad opera degli Alleati, che erroneamente credevano fosse una base tedesca.

Le macerie offuscavano il cielo. Nella zona adibita a museo una  serie di gigantografie raccontano tutta la disperazione di civili e monaci, mentre si aggiravano tra le rovine cercando di salvare il salvabile. Rimasero intatte poche cose, ma l’Abbazia continuava a diffondere il suo canto melodioso di pace.

Gli ultimi 730 chilometri avvengono tra momenti di svago, tombola e tombolino,  recita del rosario e leggere conversazioni. Alcune code a tratti prolungano la durata del tragitto, ma poi, verso la mezzanotte, appare brillante la statua di Sant’Ippolito che sembra indicare la via.

Stanchi  e assonnati, reduci da una avventura che mai dimenticheremo, ognuno di noi riprende il proprio fardello, con uno spirito nuovo, essere un faro di armonia e speranza nella vita di ogni giorno. Il cuore più leggero, l’animo più sereno, e soprattutto la consapevolezza di far parte di un mondo meraviglioso, dove l’incanto ha trovato rifugio. Grazie don Luigi e don Angelo, per averci permesso di osservare con occhi nuovi e cuore sincero questo immenso mondo che è questo pianeta su cui siamo solo di passaggio.

(Aurora Cantini)

Foto di gruppo, Parrocchia di Gazzaniga