Amazzonia, chi ne parla più?

Amazzonia, chi ne parla più?

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I Mss media sono talmente presi dalle beghe interne ed esterne, dai pianti e lamenti di noti e non noti, dalle catastrofi umane e naturali, che da parecchio tempo tacciono un nome: Amazzonia. Chi ne  parla più? Eppure l’Amazzonia, formata da 6 milioni e 700.000 km² di foresta che provvedono al 15% dell’ossigeno del globo, è il nostro polmone verde. Eppure è sull’orlo del precipizio. Solo dal 2012 a oggi sono andati distrutti 300.000 km² di alberi. Per intenderci come se l’Italia intera venisse cancellata dal planisfero. L’anno orribile è stato il 2022. 10.573 km² di foresta abbattuta, come 3.500 campi di calcio al giorno. La foresta non è solo il regno di animali e piante particolari.

Ci abitano 47 milioni di persone, tra cui 2 milioni di indigeni. Il presidente Lula vuole proteggere l’Amazzonia ma non è solo al comando, perché la foresta è solo per il 60 per cento in Brasile; il resto è in Bolivia, Colombia, Ecuador, Guaiana, Perù, Suriname e Venezuela.

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Le malattie dell’Amazzonia sono la deforestazione, innanzitutto per un interesse economico. La foresta viene distrutta per estrarre combustibili fossili, inquinata per cercare oro, incendiata per fare largo agli allevamenti intensivi, alle coltivazioni legali e ai campi di coca.

L’Amazzonia è importante, non solo per l’America Latina, ma anche per l’Europa stessa, per noi che viviamo dall’altra parte del mondo. Perché? Perché è un polmone fondamentale, trattiene le emissioni di CO2 ed emette ossigeno per tutto il pianeta. È un dono della natura che serve a tutti. Se il disboscamento non venisse arrestato sarebbe una catastrofe, perché la foresta comincerebbe a emettere più CO2 di quanta non ne trattenga. E senza l’Amazzonia l’atmosfera sarebbe invasa da 120 miliardi di tonnellate di anidride carbonica e il pianeta resterebbe senza fiato.

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Se non si inverte la rotta, come dice il premio Nobel Carlos, tra vent’anni la foresta pluviale si trasformerà in una savana semi arida. Sono state abbattute 350 specie di piante importanti, eppure non sono state trapiantate nelle zone disboscate.

 Soffre la natura e soffrono gli uomini. C’è una tribù, quella degli Yanomami, che sta davvero combattendo in prima linea, per portare alla ribalta del mondo la situazione sia della foresta che del popolo degli indios. Il leader della tribù Davi Kopenawa parla di genocidio degli indigeni. Nel corso dell’ultimo secolo è scomparso il 70% delle tribù. Gli indios che si oppongono all’invasione dei loro territori vengono uccisi. Le acque dei loro fiumi sono inquinate dal mercurio dei cercatori d’oro. Non possono più pescare, bere, cacciare. Se non li ammazzano i coltivatori illegali o li corrompono come accaduto negli USA con i nativi americani. Basta una bottiglia di whisky. La foresta e i suoi abitanti vanno preservati. I paesi sviluppati hanno promesso 100 miliardi di dollari per la riconversione ecologica industriale del territorio. Ma ancora nulla è stato fatto.

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È per questo che il fotovoltaico, l’energia solare, difficilmente sta prendendo piede. Servirebbe un accordo internazionale che metta sul piatto risorse economiche e tecnologiche per una nuova politica energetica. L’Amazzonia è uno scrigno di ricchezze naturali. I progetti sostenibili esistono. Quello che manca è una strategia governativa complessiva. Parole di Angelo Bonelli, che da 25 anni viaggia in Amazzonia e vive a stretto contatto con le popolazioni indigene.