Il Canto degli Italiani e il suo giovane sfortunato autore Goffredo Mameli

Il Canto degli Italiani e il suo giovane sfortunato autore, Goffredo Mameli

Il nostro Inno di Mameli lo conosciamo quasi  a memoria, e periodicamente emerge qualche idea circa l’eventualità di sostituirlo. Le motivazioni sono parecchie, tutte di origine politica, ma qui in questa sede non voglio entrarne nel merito: il mio compito è far conoscere qualcosa in più sul suo giovanissimo e sfortunato autore.

Bisogna risalire al febbraio del 1849, quando Garibaldi e i suoi Cacciatori delle Alpi decisero di istituire la Repubblica Romana.

Durante tutto il mese di giugno difesero la città di Roma contro Napoletani e Francesi, con episodi di disperato valore, giovani eroi con la camicia rossa che cadevano sui bastioni senza un grido, ragazzi che avevano seguito il guerrigliero senza mai più voltarsi indietro. Accanto a quei giovani ribelli vi era anche lei, Anita. Vestita da uomo, con l’uniforme da ufficiale, i capelli corti, non si distingueva neanche. Gridava in spagnolo, ma anche parole in italiano. Urlava “Vigliacchi! Codardi!” ai soldati che fuggivano davanti alle truppe austriache.

Ma le entrate alla città erano troppe da presidiare per così pochi guerrieri. I primi ad assaltare Roma sono stati i Francesi, muniti di potente artiglieria. L’unico a resistere fu ancora Garibaldi e le camicie rosse. Vi fu una lotta spietata a colpi di baionetta, con frequenti assalti ai Colli, alle Ville, sotto gli occhi della popolazione atterrita e allo sbando.

Molti però i contrasti all’interno dell’esercito della libertà. Lo stesso Mazzini non riusciva a far conciliare le idee dei patrioti e molti di essi disprezzavano apertamente le Camicie Rosse, per i loro metodi selvaggi e indisciplinati.

Accanto alle storie di spavalderie verso la gente inerme, vi furono anche quelle di ragazzi per bene che scrivevano parole illuminate sui giornali, con scritti gloriosi. Un tale, Goffredo, un ragazzino che aveva studiato, aveva composto una ballata e i compagni la cantavano mentre morivano, tutti insieme: “Fratelli! Fratelli! D’Italia!”

Goffredo Mameli

Ma il 3 luglio Roma fu costretta a capitolare e, mentre i Francesi entravano in città, Garibaldi ne usciva con quattromila uomini, iniziando così la tragica ritirata verso Venezia, l’unica che ancora resisteva. I soldati di ben quattro eserciti, quelli che avevano abbattuto la Repubblica Romana, si posero all’inseguimento del Generale, con l’ordine di catturarlo, vivo o morto.

Tra i fuggitivi mancava l’aiutante in campo di Garibaldi, Goffredo. Aveva 21 anni e portava quasi con imbarazzo un nome aristocratico e nobile: Goffredo Mameli dei Mannelli. Era nato a Genova nel 1827 e si era unito al seguito di Garibaldi come poeta e scrittore. Era stato ferito da un colpo di baionetta un mese prima, la sera del 3 giugno, durante uno degli innumerevoli assalti nella zona di Porta San Pancrazio.

La ferita però si era infettata e Goffredo era stato portato presso l’Ospizio della Trinità dei Pellegrini, in un sobborgo fuori Roma. La situazione era peggiorata velocemente, la cancrena stava divorando tutta la gamba, cosicché i medici avevano deciso di amputarla. In quelle giornate disperate il giovane combattente sapeva che non avrebbe più potuto riunirsi ai compagni in battaglie eroiche. Il sudore gli imperlava la fronte e la febbre lo divorava, mentre il dolore lancinante alla gamba sinistra amputata gli bloccava il respiro in spasmi terribili. Avrebbe voluto correre con gli altri, sentire il vento tra i capelli, incitare di nuovo l’assalto. Invece era immerso nel suo sudore aspro, immobile in uno stretto lettuccio.

Goffredo non si riprese più. Morì alle sette e trenta del 6 luglio 1849 tra le braccia di pochi compagni, ragazzini come lui che nulla sapevano del mondo e della morte. Avevano deciso di stargli vicino come più potevano, stringendogli le mani mentre lui delirava di dolore.

Lapide in memoria del giovane Goffredo Mameli all’Ospizio Trinità dei Pellegrini, dove morì il 6 luglio 1849 a 22 anni. FONTE WIKIPEDIA

Poco prima che Goffredo esalasse l’ultimo respiro qualcuno cominciò a cantare a bassa voce alcuni versi della ballata che tutti i Garibaldini recitavano in battaglia. Si intitolava “Il Canto degli Italiani” e il giovane studente l’aveva composta due anni prima, nel settembre del 1847, a vent’anni. Era stata messa in musica qualche mese dopo dal maestro Michele Novaro. Anche lo stesso Garibaldi aveva l’abitudine di fischiettarla durante le pause dai combattimenti. Furono le ultime parole che Goffredo sentì, mentre se ne volava via oltre le nuvole, tra gli Eroi. Poco prima era stato promosso al grado di Capitano dello Stato Maggiore.

Cento anni dopo, nel 1946, con l’istituzione della Repubblica Italiana con il Referendum del 2 giugno, diventò l’Inno di Mameli, scelto come “Inno provvisorio dello Stato”. A tutt’oggi non si è ancora avuta l’ufficializzazione del Canto degli Italiani nella Costituzione. “Nell’agosto del 2016, è stata presentata una proposta di legge nella Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati per rendere il Canto degli Italiani inno ufficiale della Repubblica Italiana.” (Fonte Wikipedia)

Michele Novaro

Goffredo Mameli fu sepolto al cimitero del Verano, dove ancora oggi si può ammirare un prestigioso monumento funebre. In realtà nel 1941 i suoi resti sono stati spostati sul Gianicolo su decisione del Governo fascista, nell’ambito del progetto per la costruzione di un Mausoleo Ossario Garibaldino.

Monumento funebre dove un tempo riposava il giovane Goffredo Mameli al Cimitero del Verano. FONTE WIKIPEDIA