“Voci e storie di bambini ritrovati” nel cuore di Sciesopoli
Recensione di Marta Todeschini su L’Eco di Bergamo
“Fu il rifugio di 800 bambini sopravvissuti alla shoah e ai campi di concentramento. Ma non soltanto quello. Sciesopoli è stata colonia, scuola e sanatorio per migliaia di bambini del Nord Italia che nella pineta di Selvino venivano mandati a irrobustirsi. Bambini schierati nel piazzale davanti al Padiglione Dux, braccia aperte e gambe flesse al millimetro.
Erano gli anni del fascismo, ogni mese qui arrivavano 250 – 270 bambini inviati dalla fondazione Tonoli e Melloni. Poi la guerra. L’altopiano non è risparmiato da fame e paura, ma a Sciesopoli fiorisce un’opera pia che salva la vita di tanti bambini ebrei, pagina riscoperta negli ultimi anni e valorizzata grazie alla nascista del MuMeSe, il Museo Memoriale di Sciesopoli ebraica che si trova dentro il municipio.
Opportunità di lavoro per decine di maestrine e inservienti, formate alla disciplina del rigore delle suore che dirigevano la colonia. Fasi e tappe ben ricostruite nel libro “Nel cuore di Sciesopoli”, scritto da Aurora Cantini, dalla corposa attività di scrittrice e poetessa.
Con la stessa passione con cui fa da guida ai visitatori che salgono a Selvino per scoprire la storia di Sciesopoli, Cantini ripercorre nel libro, corredato di tante fotografie, le storie e le vicende di questo edificio. Progetti, passaggi di proprietà e gestione, ma soprattutto storie di vita. Venendo ai tempi più recenti, ma non troppo, dal 1966 al 1977 furono qui ospitati circa 1400 bambini l’anno: frequentavano “la materna e l’elementare, anche rimanendo a Sciesopoli per tutti e tre i turni trimestrali, proseguendo in modo continuato nei cinque anni di frequenza elementare, con presenze che sfiorarono le 75mila-80mila unità.
Non solo Sciesopoli ebraica. La pagina cristallina del periodo post bellico che lega la colonia a quegli 800 basmbini ebrei custoditi in una terra straniera, tra i monti dell’Altopiano, va ora ad affiancarsi, nel libro di Cantini, a tante altre pagine che parlano, allo stesso modo, di accoglienza.
Tabelline da imparare, sciroppi da ingoiare, lo sguardo d’intesa dell’assistente e quello temibile della suora. Un pasto sicuro, l’aria fresca o gelida a seconda della stagione, comunque salutare. Un’infanzia per molti rubata, per altrettanti ritrovata, proprio qui, a Selvino”.
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