Una rosa per Anita Garibaldi
Il 30 agosto 1821 nasceva in Brasile Ana Maria De Jesus Ribeiro da Silva, meglio nota come Anita Garibaldi.
Il bicentenario della sua nascita è passato un po’ sotto silenzio. Eravamo in piena pandemia, le iniziative erano ridotte e in pochi si sono messi in gioco. Eppure qualcuno ha avuto coraggio, nonostante tutto. Seppur con un anno di ritardo. Poco importa. La figura di Anita merita un ricordo che va oltre la sua giovane età al momento della morte. Come pure non si può ridurre Anita alla sola storia d’amore verso il Generale, Giuseppe Garibaldi.
Anita fu molto di più. Animata da una passione tenace e trasparente verso la nostra Patria, spinta da profondi ideali di sacrificio, coerenza e libertà, offrì tutta se stessa affinché si potesse dare avvio ad un vero risorgimento del cuore, culminato in una parola che unisse nord e sud, est e ovest: Italia. Nel suo nome “Anita” vi è racchiusa l’”Anima Italia”. Nel più semplice e insindacabile termine. Ha amato l’Italia e noi Italiani, fino a offrire la sua vita, a soli 28 anni, e quella del suo bambino, morto con lei e per sempre fuso nel suo cuore. Anita fu anche la prima migrante storica, attraversando l’Oceano verso un futuro incerto, sconosciuto, oscuro. Dall’altra parte del mondo. Fu la prima femminista, in un mondo dove la Storia veniva scritta dagli uomini. Fu la prima mamma lavoratrice. Menotti, Ricciotti, Rosita (morta a due anni tra le braccia della mamma l’antivigilia di Natale del 1845 a Montevideo) e Teresita. Cresciuti bene, orgogliosamente attaccati al suo ricordo. Mai dimenticata.
Anita fu una analfabeta acculturata. Imparò a memoria i libri classici, imparò in fretta l’italiano. Imparò a tenere discorsi in pubblico. Orgogliosamente tenace. Non voleva sfigurare davanti ai “grandi”. Non tanto per Garibaldi, quanto per se stessa. La straniera. Dimostrò subito che essere straniero non era necessariamente sinonimo di selvaggio. Anita fu una sopravvissuta ad una infanzia di dolore, violenza e povertà. Ad una guerra che lacerò il Brasile, la sua terra, con migliaia di vittime. Ad una traversata pericolosa, in un tempo in cui andare per mare era una sfida. Ma lei non cedette. Si imbarcò su una nave di uomini, una mamma e i suoi 3 bambini, mentre Garibaldi rimaneva in America Latina per reclutare legionari.
Anita fu a suo modo anche la prima crocerossina, quando ancora la Croce Rossa non c’era. L’idea prese avvio nella Battaglia di Solferino e San Martino del 24 giugno 1859, in piena Seconda Guerra di Indipendenza, la battaglia più sanguinosa della storia italiana. Durante i lunghi mesi della Repubblica di Roma, nella primavera del 1849, Anita si prodigò a curare i feriti e ad assistere i moribondi, la maggior parte ragazzi (come Goffredo de Mameli), giovani eroi con la camicia rossa caduti sui bastioni senza un grido, ragazzi che avevano seguito il Generale senza più voltarsi indietro.
IL LIBRO
“UNA TRA I MILLE, ANITA” la decima pubblicazione di Aurora Cantini