“La narrazione, essenziale e come depurata dal filtro del tempo trascorso, diventa lo sguardo esistenziale del bambino protagonista, in un’aderenza fedele alla verità dei vissuti, radicati nella realtà umana della montagna di cinquant’anni fa, e nell’ancor più profonda verità dell’uomo, che nella società postmoderna stentiamo rintracciare. Con un linguaggio privo di sbavature retoriche, il racconto dà voce ai sentimenti legati a un mondo in cui si intrecciano il disagio della solitudine, la vita intesa come una lotta da condurre fino in fondo, l’amore per gli animali compagni della vita di campagna quasi scritto nei geni, la naturale tendenza ad evitare ogni ripiegamento su di sé, il sentimento mistico della presenza del padre sempre nel cuore, insieme a tutti coloro che hanno dimorato in quella terra, a cui si promette fedeltà. Ad un tratto la svolta simbolicamente contenuta nella vendita delle mucche: gli studi interrotti al raggiunto limite dell’obbligo, il lavoro duro nell’aspro ambiente montano e poi, non meno duro, quello di manovali, prima da pendolari fino all’emigrazione, che spezza un vincolo dolce e doloroso con la propria terra, ma non taglia le radici che ci fanno uomini, capaci di comprendere che è possibile toccare il cielo, ancora “lassù”, se ne può avere quasi la certezza.” (Gianluca Bonazzi)