Quei bambini italiani di Libia in colonia per sette anni

Quei bambini italiani di Libia in colonia per 7 anni

I bambini della quarta Sponda, fonte web

Molti di loro partirono dal porto libico di Derna già nei primi giorni di giugno del 1940, imbarcati sui piroscafi che li avrebbero portati in colonia. Doveva essere una vacanza estiva sul mare Adriatico. Invece rimasero via per 7 lunghissimi anni.

Furono 13mila bambini, tra i 4 e i 14 anni, che si imbarcarono con abiti leggeri e valigette di cartone. Dalla Libia all’Italia, senza ritorno. Erano i “Bambini della Quarta Sponda”.

Due anni prima, nel 1938, Mussolini aveva convinto più di ventimila contadini italiani a trasferirsi come coloni nei territori della Libia Italiana, detta La quarta Sponda. Da ogni parte d’Italia famiglie intere, in estrema difficoltà economica, aderirono al Progetto.  Destinazione Tripoli, Bengasi. traguardo finale i villaggi che si stavano costruendo, dai nomi epici, come il Villaggio Cesare Battisti. Due anni di lavoro faticoso, impegni incessanti e ininterrotti per dare un sogno, un futuro ai propri bambini, in una terra riarsa e inospitale, una terra straniera.

Ma nel 1940 tutto cambiò. Mussolini era rimasto soggiogato dalle fulminanti vittorie di Hitler e il 10 giugno decise di entrare in guerra al suo fianco. Gli oltre ventimila italiani in Libia erano allo sbando. I genitori ricevettero l’ordine di far rientrare in patria i figlioletti, “per le vacanze estive”. Tempo alcuni mesi e la guerra sarebbe finita. Tutto sarebbe ritornato alla normalità.

Dall’Italia partivano le navi cariche di soldati, dirette in Libia, diventata zona di guerra. E al ritorno rientravano in porto cariche di bambini. Le colonie costruite dal Regime fascista in Liguria, in Toscana e in Emilia Romagna si riempirono di bambini arrivati dall’altra parte del Mar Mediterraneo. L’infanzia reclamava comunque i suoi giochi e l’estate sembrava infinita. Ma ad ottobre, al calare delle nebbie sul mare, quei bambini sconosciuti alla loro stessa patria si ritrovarono in prigionia. Iniziarono i trasferimenti nelle sedi invernali, vennero attivate le scuole interne, città sempre diverse, hotel riconvertiti in istituti, colonie semivuote trasformate in vere e prorie caserme. Su tutto una ferrea disciplina e una censura totale. Bambini orfani senza essere orfani. Bambini dai sogni infranti.  Divennero i bambini dimenticati.

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Poi dopo l’8 settembre del ’43 l’esodo. Quelle migliaia di bambini erano diventati un problema. Gli spostamenti divennero continui, nei paesi dell’entroterra, anche fino a Clusone, sulle montagne bergamasche, e poi in Veneto e oltre. A gruppetti, su jeep di fortuna, camionette e autocarri. Sempre con il rischio di essere mitragliati dagli aerei americani e inglesi. Fagottini alla deriva. Fagottini senza nemmeno una valigia.

Intanto i genitori rimasti in Libia erano in estremo pericolo. Avevano perso tutto, casa e campi. Non avevano più notizie dei figli. Erano costretti a spostarsi continuamente. L’obiettivo era riuscire a ritornare in Italia. Mille peripezie, disagi e sofferenze continue. Con mezzi di fortuna, tentando anche l’impossibile per riapprodare in terra italiana.  Ex coloni senza più sogni, senza più speranze, animati solo da una forza irriducibile.  A poco a poco riuscirono a risalire lungo la penisola, come seguendo le briciole di Pollicino, alla ricerca dei figli perduti. Molti di quei genitori riuscirono a ricongiungersi ai propri bambini solo nel 1947, spesso in uno degli innumerevoli campi profughi allestiti in fretta.  Spesso però furono costretti  ad alloggiare provvisoriamente nelle stanze delle caserme dismesse, prima di ritrovare una parvenza di normalità in alloggi popolari. Ma per quei bambini l’incontro con i genitori fu un evento doloroso e devastante. Davanti a loro apparvero volti ormai sbiaditi dal tempo, figure da troppi anni offuscate, profili dimenticati. Voci e gesti che quei bambini non ricordavano più. Da parte loro i genitori ritrovavano figli ormai cresciuti, diventati ragazzi, adolescenti. Solo in alcuni tratti, in alcune posture riemergevano i fanciulli che erano stati, i bambini di pochi anni che avevano abbracciato piangendo anni prima. Genitori sconosciuti che rivedevano figli sconosciuti. I ricordi dovevano riafforare a poco a poco. Lentamente, tra imbarazzati silenzi carichi di doloroso rimpianto e struggenti abbozzi di spontaneità. Vittime innocenti dell’oscurità.