Le donne sconosciute del Risorgimento Italiano

Le donne sconosciute del Risorgimento Italiano

La partenza del Garibaldino, dipinto di Gerolamo Induno, 1860

Il Risorgimento significa rinascita. Celebrato in ogni angolo del nostro Paese, in ogni monumento, in ogni via, in ogni rievocazione. Il periodo in cui, liberandosi dal giogo straniero,  l’Italia è nata come Italia. Risorgimento è il nostro passaporto. La nostra carta d’identità. È la Storia per eccellenza. Date, luoghi, battaglie, trattati, alleanze, nomi illustri, personaggi immortali, protagonisti altisonanti… I libri di storia traboccano di pagine che compongono il Risorgimento. Eppure…

Eppure, come ogni  periodo storico che si rispetti, la Storia è una, ma formata da mille e mille storie, e in quelle storie agiscono le persone. Sangue e ossa. Carne dilaniata ed esposta. Ferite brucianti e mortali. Uomini e donne, bambini e bambine, ragazzi e fanciulle. Eppure nulla o quasi è stato raccontato di loro. Soprattutto delle donne del risorgimento. Madri che, seppur piangendo straziate, hanno dovuto lasciar andare quei loro figli adolescenti, che nulla sapevano di battaglie e strategie se non attraverso un mito, dato da un nome evocativo e quasi divino: Garibaldi.

Mogli che sono rimaste sole nel letto nuziale, in attesa, come Penelope, di un Ulisse errante. Sorelle e fidanzate, che sognavano fiabe a lieto fine… Trascinate nel caos. Spezzate nelle loro certezze. Frantumate nella loro quotidianità.  Nell’epico sventolare di sommi ideali, le donne hanno dovuto cucire, non solo camicie rosse e bandiere e coccarde, ma anche pezzi di cuore, frammenti di famiglia.

Sole con i figli, con il podere da mandare avanti, con i conti da far quadrare. Sole a reggere il vessillo di casa, mentre gli uomini morivano per la Patria, anteponendo la parola unità alla famiglia. Mariti e padri amati, sì, ma lontani.

C’erano poi le donne liberali, istruite e benestanti, che dai loro salotti intessevano relazioni, cospiravano e nascondevano, facevano progetti, parlavano di politica, scrivevano e allertavano, operavano in azioni di spionaggio, in nome della rivoluzione  Le prime giornaliste. Come Clara Maffei o la Principessa Cristina di Belgioioso. Altre si offrivano volontarie come infermiere o portavano aiuti assistenziali, di solidarietà e sostegno alle famiglie povere. A volte le donne dovevano seguire il marito in esilio. Reggendo i figlioletti in braccio, varcavano i confini di un mondo scuro, sconosciuto, oltre la vallata, oltre la linea delle montagne. Dove magari ci sarebbero morte, alla fine. Un “Addio, monti sorgenti dall’acque” senza ritorno.

Se il Risorgimento ha portato all’unità d’Italia, lo si deve anche a loro, alle donne, che pur non potendo combattere al fronte, combatterono a casa. Per la vita, la libertà di esistere, il diritto di crescere. Mille garibaldini, mille donne dei garibaldini.

Eppure dopo l’Unità d’Italia nessuno più dedicò un omaggio a quelle donne “dietro le quinte”. La loro rappresentante, la loro eroina, il loro fulgido esempio, Anita, la sola capace di smuovere il fuoco e l’acqua dell’ardimento, era morta ormai da più di vent’anni. Ne scrissi gli ultimi giorni in un romanzo pluripremiato, “Una tra i Mille Anita”.

“UNA TRA I MILLE, ANITA” la decima pubblicazione di Aurora Cantini

Nessuno diede alle donne la possibilità di partecipare attivamente alla nuova Italia, da poco creata. Nessun diritto civili, men che meno politico. Non potevano ereditare se non avevano il permesso del marito, non potevano testimoniare in tribunale, non potevano esprimere un giudizio sulla loro condizione sociale ed economica. Il voto alle donne? Solo nel 1946, quasi cento anni dopo.

E rimane un dipinto che Gerolamo Induno, garibaldino lui stesso, realizzò nel 1860 . “La partenza del Garibaldino”. Struggente sacrificio di una gioventù che crebbe con la forza della Speranza.