I Treni dell’accoglienza dei bambini del dopoguerra

I treni dell’accoglienza dei bambini del dopoguerra

La seconda guerra mondiale è stata la guerra che è entrata nella vita quotidiana della gente, la guerra sulla porta di casa. Civili e bambini coinvolti come mai prima di allora. Famiglie distrutte, bambini orfani, madri vedove. Soprattutto i bambini furono coloro che vissero il trauma della ripartenza. Devastati come piccoli fagottini. Migliaia e migliaia furono i bambini che negli anni immediatamente successivi non avevano nulla. Mancava cibo, acqua, medicine, un posto dove dormire. Una casa a cui tornare.  Le malattie della povertà li facevano cadere come mosche. Gli enti assistenziali e la Croce Rossa potevano fare poco: tamponavano le emergenze, ma non bastava.  I bambini sopravvissuti alla guerra spesso venivano mandati negli istituti. Più di 250.000 solo nei mesi successivi alla Liberazione.

Finalmente ci rese conto che bisognava fare di più. Bisognava investire nel futuro. E il futuro erano i bambini. Già nel 1946 durante l’Assemblea Generale dell’ONU venne istituito l’UNICEF, un fondo di emergenza per assistere i bambini dei paesi europei. Latte in polvere per cominciare. Finché nel 1949, con la Convenzione di Ginevra, il divieto di arruolamento dei minori di 15 anni.

Tornando al nostro Paese, Nell’autunno del 1945 la situazione dei bambini in Italia era allo stremo. Freddo, fame, malattie avrebbero falciato migliaia di minuscole vite entro la primavera seguente. Fu una donna, Teresa Noce, ad avere un’intuizione davvero  vitale. Cominciò a girare per le strade di Milano con altre donne dell’associazione Unione Donne Italiane, da poco costituita. Cercavano i bambini. Il freddo, la pioggia, la nebbia non le scoraggiavano. I bambini senza casa, né nome, né famiglia erano tanti. Tantissimi. Come tantissimi erano quelli che vivevano in tuguri,  senza coperte, senza carbone, a volte nelle casse di segatura.  Spesso accuditi solo dai nonni, anziani e debilitati pure loro. Tutti affamati. Tutti lumini quasi spenti.  La signora Teresa pensò all’Emilia Romagna, una regione che aveva aiutato molto la Resistenza. Sapeva di molte famiglie contadine che potevano ospitare i bambini bisognosi durante i mesi  invernali, in cambio di un aiuto nella fattoria. Ma assolutamente i bambini andavano portati via dalla città.

Pensava fosse quasi impossibile quel suo sogno, da realizzare. Invece la appoggiarono i comuni, i prefetti, il PC, la CGIl, l’ANPI, il Centro Italiano Femminile, le Ferrovie, la Croce Rossa.

La gestione era complessa: selezionare i bambini più bisognosi, contattare le famiglie, preparare cartellini e schede personali, vaccinarli, curarli, scegliere la famiglia di accoglienza, e poi accompagnarli nei viaggi in treno.

Nel dicembre 1945 da Milano partirono 4200 bambini, da Torino 1300. Destinazione le province di Reggio Emilia, Bologna, Modena.  Palmiro Togliatti, nel primo congresso di partito a inizio gennaio del ’46, propose subito di estendere l’accoglienza anche ai bambini del Centro e del Sud Italia, che divenne realtà con la partenza dalla Stazione Termini di 1000 bambini, seguita da quella di oltre 12mila piccoli di Napoli, che vivevano letteralmente per strada, tra miseria e sfruttamento.

I Treni dell’Accoglienza fecero avanti e indietro fino al 1952, trasportando bambini di ogni regione d’Italia, diretti anche in Liguria, in Toscana, in Umbria. Ad accoglierli famiglie semplici e operose, che li abbracciarono come figli, sotto l’egida del sindaco e del parroco. Intere comunità che si aprirono alla solidarietà e al calore. Nessun bambino venne lasciato indietro. Nessun bambino doveva più piangere. Certo, spesso il dolore del distacco dalla mamma o dai fratellini pesava nel cuore di quelle piccole anime come una pietra, un grumo di nostalgia, di dolore, di perdita. Ma nelle nuove famiglie c’era tanto da fare: gli animali, la stalla, il bestiame, i campi. Cielo infinito, distese aperte, orizzonti chiari.  Una casa, vestiti caldi, assistenza sanitaria, la scuola, un banco e un libro. Imparavano. Ascoltavano. Crescevano e si rinforzavano.

Cosa ne fu quelle centinaia di migliaia di bambini? La gran parte ritornò a casa la primvera successiva, altri dopo due o tre anni,  molti furono coloro che decisero di rimanere per sempre con la nuova famiglia. Ma per tutti l’impronta fu indelebile. Perenne. Solida.

Eppure non a tutti piaceva il progetto Treni della solidarietà. Gran parte del mondo ecclesiastico era contrario al fatto che si togliessereo i bambini alle proprie famiglie.  Molti furono i sacerdoti che cercarono di impedire le partenze, attraverso un’opera di screditamento e diffamazione.  In  realtà  la situazione in Italia si stava normalizzando, molte famiglie si erano ricongiunte e all’inizio degli Anni Cinquanta la ripresa economica iniziò a farsi sempre più concreta e reale.  Sempre meno bambini erano in difficoltà e sempre meno treni solidali partivano. Finché cessarono del tutto.

Ma l’accoglienza non si fermò.

Ancora oggi si accolgono bambini. Ancora oggi i bambini sono le vittime innocenti di tutte le guerre.

Io ho raccontato qualche storia, per fare luce, per dare monito e memoria, per imprimere il ricorod.

Il libro “Il bambino con la valigia rossa” racconta il destino dei bambini N.N. durante la Seconda Guerra Mondiale nel Brefotrofio di Bergamo, migliaia di bambini raccolti per strada o lasciati in istituto. Una situazione uguale a centinaia di altre in tutta Italia, devastata dalla guerra civile.

La difficile vita di un bambino al Brefotrofio al centro dell’ultimo libro di Aurora Cantini

Nel libro “Nel cuore di Sciesopoli” l’accoglienza è invece avvenuta attraverso enti assistenziali, più di 85.000 bambini ospitati, dal 1945 al 1985, tra cui 800 bambini ebrei orfani sopravvissuti alla Shoah, nel grande edificio di Selvino, costruito come colonia fascista negli Anni Trenta.

NEL CUORE DI SCIESOPOLI, il libro