“Negli Anni Cinquanta per i bambini sulle montagne bergamasche era obbligatoria la messa all’alba, alle cinque e mezza, prima dell’inizio dei lavori nelle stalle o nei campi. Questo voleva dire alzarsi alle quattro e mezza, incamminarsi per salire a piedi fino alla chiesa, passando davanti al cimitero, che creava non poche paure in noi bambini a causa delle storie di fantasmi raccontate nelle sere d’inverno nelle stalle, servire messa, poi ridiscendere a far colazione, prendere la cartella e risalire alla chiesa, partecipare alla messa delle otto, quella degli scolari, dopodiché recarsi a scuola. D’inverno, col “frècc che l’pèlaa zó la pèl del mostàss“, cioè che pelava la pelle del viso, tra i ciottoli ghiacciati e il buio che ancora avvolgeva il mondo, era micidiale. (…)”
“Gennaio è un mese solitario, poco portato alle novità, un mese di attesa: l’attesa, un tempo, dell’arrivo dei tre Grandi dalla barba bianca, San Mauro, San Marcello, Sant’Antonio, portatori di neve e bufera, ma anche di storie narrate nelle stalle, brividi sotto pelle e sulle mani, tepore di gente riunita e solidale. Fuori tutto era silente, immenso, nascosto, fuori vi era un altro mondo, ma lì, nelle stalle, il tepore abbracciava la vita come una coperta calda.” (Aur Cant)