Figli in cerca delle proprie origini

Figli in cerca delle proprie origini

Un bambino con la valigia

Qualche giorno fa mi ha contattato una ex Esposta. Aveva letto il mio romanzo “Il bambino con la valigia rossa”.

IL BAMBINO CON LA VALIGIA ROSSA, il romanzo sull’infanzia abbandonata al Brefotrofio di Bergamo

La sua domanda mi ha assalito come una lama: “Non vedo alcun riscatto delle sofferenze patite”. Sono parole che scavano nella coscienza e chiedono risposte. Ma non ci sono risposte.

Nel 2015 sembrava che le cose potessero finalmente aprire uno spiraglio alle incessanti ricerche di quelle decine di migliaia di ex bambini e bambine nati senza identità, ormai cresciuti, ma ancora in cerca di un nome: quello della propria mamma. Infanti Esposti all’abbandono, così venivano definiti i piccini nati da unioni illegittime o in condizioni di povertà e lasciati in Istituto. Documenti, cartelle cliniche, certificati sepolti negli archivi degli  ex IPAMI, i Brefotrofi provinciali, impolverati e consumati nel silenzio del tempo. L’inchiostro sbiadito simile e piccole lacrime. Sembrava fosse giunto davvero il momento in cui finalmente un viso avrebbe trovato un contorno, non più solo ombra e pianto. Ci fu un’inchiesta redatta dal quotidiano Repubblica a nome di Patrizia Capua che voglio riportare.

Quei figli segreti alla ricerca di una identità

La ruota degli Esposti

Scrisse Patrizia Capua: “Sono decine di migliaia. Una legge che li tutela e li riguarda è passata alla Camera nel 2015. Ragazzi e ragazze abbandonati, ormai cresciuti, che inseguono le loro madri per scoprire chi sono. Molti ci riescono. Altri rinunciano. Stretti tra due sentimenti che si frappongono: scoprire la verità o lasciarla seppellita in un passato fatto di scelte dolorose e condizioni disperate. Anni a seguire tracce, cartelle cliniche, fascicoli di tribunale, per risalire al nome dell’ostetrica, decifrare una medaglietta o un tesserino. A rivendicare una legge per il diritto alle origini.

“Il testo approvato compendia otto diverse proposte  –  spiega Anna Arecchia, presidente del Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche che ha dato un grande impulso alla formulazione originaria della proposta  –  dopo un lavoro durato un anno e mezzo in commissione Giustizia”. Il risultato più importante per il Comitato è stato l’approvazione con 26 voti di differenza della possibilità di accedere ai dati anche dopo la morte della madre.

La legge formulata nella stesura iniziale da Luisa Bossa del Pd, ingloba le tesi unificate di Michela Marzano, Anna Rossomando, Valeria Valente, Micaela Campana, Antimo Cesaro, Carlo Sarro, Milena Santerini, Michela Brambilla, è il risultato di lunghe trattative, mediazioni e compromessi tra il diritto di sapere di un figlio e quello della madre naturale di essere dimenticata. In aula si è accesa la discussione su oltre 50 emendamenti. Con passaggi decisivi rimasti fuori dalle prime stesure. Come il no all’accesso automatico alle informazioni sulle madri irreperibili, oppure affette da incapacità mentale. Emendamenti che, secondo il Comitato, penalizzano i figli.

Fino a pochi anni fa leggi e giurisprudenza non erano dalla parte dei bambini. Nel 2001, la legge 149 ha permesso soltanto ai figli riconosciuti, al compimento dei 25 anni, di fare domanda al tribunale dei minori per ottenere informazioni sulla madre naturale. Mentre i non riconosciuti, nati da donna che non consente di essere nominata, possono avere notizie soltanto dopo un secolo.

Medaglietta identificativa di un ex bambino esposto

Anna Guerrieri, presidente di Genitori si diventa, associazione di famiglie adottive, spiega: “Ci vuole una legge che accordi a un adulto maggiorenne la possibilità di chiedere accesso ai propri dati anche in parto anonimo. Il problema è sulle modalità. I più tra noi sono per contattare le madri di origine con la massima riservatezza possibile, libere poi di decidere di ripensarci, gli altri considerano più giusto non interpellare donne che si sono ricostruite una vita e hanno chiuso del tutto con il passato”. Donata Micucci, presidente dell’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, ritiene rischioso violare la privacy di chi ha partorito in anonimato. “Sosteniamo il diritto di una donna che non ha riconosciuto il figlio avvalendosi della promessa che per cento anni il suo segreto verrà rispettato.”(Fonte Patrizia Capua, Repubblica.it)

Eppure i piccoli ex Esposti continuano a cercare. “Non possiamo trovare solo lapidi“.