Non possiamo perdere il passato: Aurora Cantini e il suo ricordo della Grande Guerra

Non possiamo perdere il passato: Aurora Cantini e il suo ricordo della Grande Guerra

Incontro con l’autrice Aurora Cantini

Aurora Cantini

Intervista curata dallo scrittore Pierangelo Colombo

L’ospite della nostra rubrica dedicata alla Grande Guerra è la poetessa Aurora Cantini, che ha cortesemente accettato questa intervista rivolta proprio alla memoria. Sua, infatti, è la lirica “Come una fiamma accesa” di cui vorremmo parlare.

  • Innanzitutto la ringrazio per la disponibilità dimostrata. Possiamo darci del tu? Certamente!

  • Come accennavo sei l’autrice della splendida Come una fiamma accesa, come è nata questa poesia?

Questa poesia è nata quando, con sorpresa e dopo tante ricerche, ho ritrovato il medaglione doppio che la mia prozia Lugarda Carrara portava al collo da sempre: raffigura i suoi due fratellini più piccoli, morti a venti anni esatti nella Grande Guerra, Vittorio Emanuele Enrico e Fermo Antonio. In particolare è stato Fermo Antonio che mi ha colpito come una freccia quando ho tenuto in mano quel medaglione dopo cinquant’anni. È stato dichiarato disperso il 2 agosto 1916 sul Rombon durante una discesa in parete. Sono rimasta talmente frastornata dai suoi occhi che sembravano chiedermi di non dimenticarlo che, giunta a casa, ho scritto di getto i versi della poesia. Sembrava che lui guidasse la mia mano.

I fratelli Carrara Combattenti e Caduti nella Grande Guerra

Oltre che una lirica, Come una fiamma accesa, è anche un memoriale, pubblicato nel 2015, dedicato a dei tuoi prozii caduti durante il conflitto del 15-18, ce ne vuoi parlare? 

La storia è lunga e tragica. Maddalena e Angelo Carrara di Amora Bassa, Aviatico Bergamo, ebbero 12 figli, di cui 5 figli mandati al fronte sui 6 maschi di casa.
Dei 5 ragazzi in guerra tre morirono direttamente in battaglia (uno per ogni anno di guerra),
Fermo Antonio, Alpino, del Battaglione ValCamonica precipitò dal Rombon la notte tra l’1 e il 2 agosto 1916 durante una missione esplorativa e non fu mai più ritrovato. Aveva vent’anni.
Enrico Vittorio Emanuele, Fante, esplose per granata durante la presa del Monte Santo il 14 maggio 1917 e non ci furono resti. Aveva vent’anni.
Giovanni Agostino, Alpino, morì sulla Cima Presena la sera del 23 giugno 1918 colpito alla nuca da un cecchino mentre andava a prendere l’acqua. Fu frettolosamente sepolto a Ponte di Legno in tomba provvisoria durante una pausa degli scontri e poi messo nel 1936 nel Sacrario del Tonale tra gli Ignoti, essendo scomparsa l’identificazione della tomba. Aveva 32 anni e una giovane moglie.
Il quarto, Sergente Alpino Elia Celestino, morì a casa tra atroci dolori fisici e mentali dopo aver trascorso 41 mesi al fronte, prima sul Rombon (dove dovette assistere alle inutili ricerche del fratellino Fermo mandato in una missione esplorativa e dove venne ferito gravemente ad un ginocchio durante una battaglia) e poi sull’Adamello, dove gli morì tra le braccia il fratello Giovanni nel giugno del ’18. La giovane moglie, che aveva sposato a sedici anni quando era Carabiniere Reale a Vercelli, impazzì di dolore e venne internata in manicomio a Vercelli per tutta la vita.
Il quinto fratello, Bernardino, uno dei Ragazzi del ’99, venne mandato al fronte il 13 giugno 1917, nonostante ci fossero già 4 fratelli,  di cui 2 già caduti, e venne posto in congedo solo il 7 aprile 1920,
quando era già morto anche il papà Angelo di crepacuore nell’ottobre del 1919.
Fu l’unico che riuscì a morire di vecchiaia nel 1986.
Tutto rimase sulle spalle della loro mamma Maddalena.
Dei fratelli nessuna tomba, nessun corpo, di loro più nulla è rimasto, né le lettere, né tutte le loro medaglie, compresa quella alla mamma per la gratitudine della nazione, né i loro cappelli, né i loro oggetti, né le loro divise. Nessun funerale. Solo lo straziante ricordo che sempre le sorelle, tra cui mia nonna Angelina, hanno portato avanti.

Medaglione con la miniatura del giovane alpino Fermo Antonio Carrara, uno dei 5 fratelli Carrara Grande Guerra
  • La memoria storica è essenziale per la società, in quanto potenziale antidoto contro il ripresentarsi di nazionalismi estremisti e xenofobia. Secondo te, alla luce degli ultimi avvenimenti, in cosa si è mancato nel tenere viva questa memoria?

Ho visto sulla mia pelle cosa vuol dire davvero “dimenticare”, lasciare che nessuno parli più di quei ragazzi di cento anni fa. Sono convinta che siano venuti meno la pazienza e il rispetto, nella fretta di lasciarsi dietro il vecchio, l’inutile, cercando il presente a tutti i costi, perché “bisogna stare al passo con i tempi” e le cose passate non servono più. È successo anche con gli oggetti contadini. Infatti verso gli Anni Settanta, nell’avanzare dell’industrializzazione, si sono svuotati i solai e le cantine, buttando via tutto quello che non serviva più, superato, antico, per non ricordare, per dimenticare, per annullare la vita passata.

  • La poesia possiede ancora la forza di smuovere le coscienze?

La poesia HA il compito di smuovere le coscienze, ma diventa sempre più difficile, è come invischiata dal fango. La voce della poesia è una voce gentile, leggera, e ormai in tutto questo frastuono che rimbomba, dove tutti gridano e si scannano, nessuno ci fa più caso, non avverte nemmeno più la sua voce. E la coscienza è uccisa. Eppure non dobbiamo rinunciare a portare la poesia in mezzo alla gente, nelle strade, dobbiamo continuare a farlo, a tentare, a insistere. Soprattutto lavorando sui ragazzi, facendo loro amare la poesia e la cultura, gettando semi che qualcuno raccoglierà, affinché qualcosa rimanga.  

Copertina libro dedicato ai fratelli Carrara Combattenti e Caduti Grande Guerra

  • La prima guerra mondiale ha formato, e segnato, molti autori che in seguito hanno messo in prosa o poesia la propria esperienza; c’è un autore particolare o un libro che più ti ha colpito?

Io scrivo poesie da quando avevo 10 anni, ma il merito è anche di un uomo, Giuseppe Ungaretti, che mi ha plasmato. Non è una coincidenza se le prime poesie che ho adorato sono Fratelli o Veglia o San Martino sul Carso o anche Soldati. Impazzivo di pianto nel leggerle, e poi scrivevo anch’io pensieri di emozione rivolti a quei ragazzi caduti nel silenzio delle alture straniere…

  • Se ricordo bene, ti prego di correggermi, una sezione di Alpini ha portato una copia della tua poesia sul luogo dove è caduto uno dei tuoi prozii. Hai voglia di raccontarci esattamente la cerimonia e cosa ha rappresentato per te?

Massimo Peloia è un socio alpino della Sezione ANA di Saronno. Si è sempre interessato alle vicende  terribili e drammatiche della Prima Guerra Mondiale, dedicando attenzione particolare ai dimenticati eroi del Battaglione alpino ValCamonica, 5° Reggimento alpino.

Combatterono sul Cukla (1776 metri) e il Rombon, che raggiunge i 2.208 metri di altezza, accanto al Romboncino, a quota 2105. Massimo Peloia e un folto gruppo di alpini e rappresentanti ha voluto salire fin lassù, al confine con la Slovenia, per rendere omaggio alle migliaia di ragazzi lanciati nell’impeto delle battaglie, strappati alle loro case, alla loro vita di gioventù, molti di essi mai più tornati a casa. Era uno dei fronti di guerra “forse la più ingrata del nostro schieramento alpino” come disse il Generale Cadorna. Il Cukla e Rombon rimasero quasi sempre in mano agli Austriaci e più volte vennero invano attaccati dagli Italiani. Solo il Cukla divenne italiano, anche se solo per pochi mesi, tra il 1915 e il 1916. Ma in generale ci furono incessanti e sanguinosi tentativi che portarono solo esiti drammatici, con innumerevoli Caduti. L’epilogo fu dato la sera del 24 ottobre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, quando le truppe italiane abbandonarono per sempre il Cukla – Rombon.

Lassù rimasero soltanto le anime dei tantissimi ragazzi morti in combattimento. Tra essi il giovane alpino bergamasco Fermo Antonio Carrara, terzultimo di cinque fratelli mandati in guerra. (mio prozio). Quella notte tra l’1 e il 2 agosto 1916, aveva 20 anni e pochi mesi. Gli venne comandato di uscire con altri cinque compagni per cercare una via di accesso al Rombon, una missione esplorativa richiesta dal Comando Militare. Dovevano scendere dal Romboncino lungo una parete impervia per approdare alla Valle Mozenca e da lì conoscere appostamenti e difese nemiche. Non si saprà mai cosa successe in quella notte d’estate, nel silenzio della cordata. Fermo Antonio precipitò in uno degli Abissi del Rombon, e là rimase. Lo cercarono invano per giorni, ma non fu mai più ritrovato. Massimo Peloia, dopo cento anni, è salito fin sul baratro di quell’Abisso che divenne sepolcro del giovane soldatino. Una volta raggiunta la cima ha depositato un dono, accanto al cippo che ricorda i tanti ragazzi immolati per la libertà.

Massimo Peloia sul Rombon con la poesia “Come una fiamma accesa” dedicata al giovane alpino Fermo Antonio Carrara, uno dei fratelli Carrara Grande Guerra

È la poesia dedicata a Fermo Antonio, “Come una fiamma accesa”.

La sesta Edizione del Concorso Nazionale di poesia “Carmelina Spada” premia la poesia del soldato bergamasco della Grande Guerra

I versi letti ad alta voce sono stati trasportati dall’eco lungo il vento del ricordo, della memoria, dello struggente doloroso silenzio mentre suonava il silenzio. La poesia è stata infine lasciata nella cassetta di metallo in cima al Rombon, che contiene il libro di vetta dove gli escursionisti lasciano la loro firma, così da ricordare il giovane Carrara e tutti gli altri soldati Caduti.

  • Diversamente al secondo conflitto, in cui il ruolo delle donne, specie nella lotta di resistenza, è stato ben rappresentato, nella Grande Guerra lo stesso ruolo sembra defilato, poco approfondito, eppure gran parte delle donne si trovarono a sostituire gli uomini in molte attività che fino ad allora erano state prerogativa esclusivamente maschile; qual è la tua opinione a riguardo?

La mia bisnonna Maddalena ha perso quattro figli e il marito, ma non ha mai pianto. Diceva mia nonna che continuava a pregare, al lavatoio, sul sentiero, vicino alle cappellette, la sera prima di addormentarsi. Pregava e parlava con i suoi figli morti. Senza marito dovette rimboccarsi le maniche, mostrarsi forte, decisa, salda. Aveva altri 8 figli da seguire. La mia prozia Margherita Pierina impazzì di dolore giovanissima e venne ricoverata in manicomio, dove vide lo stato devastante delle migliaia di soldati resi folli dalla guerra. Rimase in manicomio per quarant’anni, e l’unico momento di lucidità era dato quando chiamava il suo alpino, “l’alpinazz” in dialetto piemontese, suo marito, il grande alpino Sergente Elia. L’altra prozia, Gioachina, dovette andarsene dalla casa del marito morto, Giovanni, non c’era più posto per lei, era una bocca in più da sfamare. Dovette cercarsi un nuovo marito. Molte ragazze delle montagne diventarono manodopera silenziosa per continuare a occuparsi della campagna e delle mucche.

Carrara Angelo e Carrara Giovanna Maddalena

Altre scendevano a Bergamo come volontarie nell’ospedale territoriale della CRI. Là giunsero molti dei ragazzi di Selvino e Aviatico che ben conoscevano e che morirono tra le loro braccia. Per non dimenticare le portatrici carniche, io penso sempre che avranno aiutato anche solo uno dei miei 5 prozii, li avranno consolati, li avranno ascoltati e ci avranno parlato, i miei prozii in dialetto bergamasco, e loro in dialetto friulano. La mia bisnonna ricevette solo una medaglia “per la gratitudine della Nazione”. La forza di quelle giovani donne silenziose ha permesso di portare avanti la vita. Sono loro le “vere” eroine di quegli anni, altrimenti una intera generazione si sarebbe cancellata dal tutto. All’istante.

  • La Nostra generazione è forse l’ultima ad avere ascoltato dalla voce dei nonni i loro racconti sulla vita al fronte. Un testamento consegnatoci come monito, una responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Ti è mai capitato di tramandare questi ricordi ai giovani? Quali reazioni ha ricevuto?

Vado nelle classi terze delle scuole secondarie a portare il mio progetto “Oltre la polvere del silenzio”, due ore di immagini e racconti in cui do vita alle emozioni di quei ragazzi di cento anni fa. Dico subito agli studenti di immaginare i loro fratelli o cugini più grandi, nati negli anni Novanta, solo proiettati indietro di cento anni. Questo li sconvolge. Il fatto che si parli di un periodo così lontano nel tempo e nello spazio vissuto, ci spinge a dimenticare che quei ragazzi, immortalati per sempre in fotografie sgranate e ingiallite, erano ventenni come lo possono essere quelli di oggi, RAGAZZI, leggeri e fragili come vetro, pieni di sogni, di ardori, ma anche impulsivi e spericolati, come  sono TUTTI I RAGAZZI a quell’età, di ogni epoca, di ogni strada, di ogni colore.

Vederli impettiti in divise di due taglie più grandi, con la brillantina sui capelli e la scriminatura a lato, seri e posati, già così adulti nella postura accanto alla poltrona o davanti alla caserma, dai nomi di battesimo ormai in disuso, ce li rende più anziani di quello che non fossero realmente, e tendiamo a non ricordare i loro pochi anni di respiro su questa terra. Vedo gli occhi degli studenti riempirsi di lacrime, il respiro che quasi si blocca. Due ore filate in cui nessuno si muove, inchiodati alla sedia mentre li porto lassù, su quelle cime a tremila metri dove neanche le aquile vivrebbero. Ma dove centinaia di migliaia di ragazzi poco più grandi di loro ancora dormono nel ghiaccio.

 

Bernardino Carrara, uno dei Ragazzi del ’99, il più piccolo dei 5 fratelli Carrara Combattenti e Caduti Grande Guerra
  • Quest’anno ricorre il centenario della fine di quell’assurdo massacro; ci sono dei progetti cui stai lavorando o a cui vorresti partecipare?

Il mio sogno è vedere realizzati i cartelli che indichino ai turisti “Amora Bassa, borgo natale dei fratelli Carrara combattenti e caduti nella Grande Guerra”, che la visita alla loro casa diventi una tappa per i villeggianti. Il 17 febbraio dello scorso anno, per in Centenario,  sono andata a ritirare le cinque medaglie ai fratelli Carrara a Gonars, una cerimonia solo per loro, un pullman di parenti e amici, in testa il nostro Sindaco. L’emozione più grande è stata data dal fatto che eccezionalmente il direttivo del Coordinamento Albo d’Oro ha ritenuto meritevole di medaglia commemorativa anche il quinto fratello, perché “sacrificò la sua giovinezza e innocenza per amore della Patria, pur avendo già perso tre fratelli in battaglia. Siamo stati accolti e scortati dalla polizia al nostro arrivo e ci hanno riservato una accoglienza da star. Ora spero che la sezione di Bergamo parli di loro. Li inserisca nei suoi progetti,  porti avanti l’idea di una via in città anche per loro.

Le 5 Medaglie Commemorative Centenario Grande Guerra consegnate ai discendenti dei fratelli Carrara Combattenti e Caduti

 

  • C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

  • Spero che non si perda il passato, non si rinneghi il ricordo. Spero che si sviluppi più interesse verso la nostra stupenda ed epica storia, la storia della nostra bellissima Italia.