Victor Hugo e il suo struggente lamento per la figlia perduta

Victor Hugo e il suo struggente

lamento per la figlia perduta

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Leopoldine Hugo

Testo in lingua originale: Demain dès l’aube, de Victor Hugo

Domani, all’alba

Domani, all’alba, quando imbianca la campagna

io partirò. Lo vedi, so bene che m’attendi.

Andrò per la foresta, andrò per la montagna.

Non posso stare ancora a te così distante.

Camminerò, lo sguardo intento ai miei pensieri,

senza vedere niente, senza ascoltare suoni,

ignoto, solitario, mani incrociate, chino,

triste, e per me la luce sarà come la notte.

Non guarderò né l’oro del giorno che declina,

né i veli che ad Harfleur cadono di lontano,

e, giunto in tua presenza, poserò sulla tomba

un mazzo d’agrifoglio e l’erica fiorita.

(Traduzione di Andrea Giampietro)

Un padre che perde la figlia primogenita, un uomo che attraverso la parola lancia il suo lamento al Cielo, disperato, unico, inafferrabile. Il grande autore del dramma immortale come lo sono I Miserabili supera il tempo per trafiggere il cuore di chi ha perduto una persona cara e sente straziante la ferita che mai si rimargina.

Nata nel 1824, Leopoldine portava il nome del nonno paterno, Leopold Hugo. Era una gioia per il papà Victor Hugo vederla crescere, unica sua farfalla, unico suo splendore.
Aveva diciannove anni, quando, nel febbraio 1843, andò sposa a un giovanotto  del quale la ragazza era follemente innamorata da quando aveva 15 anni. Vivevano sulla riva destra della Senna, felici come lo sono tutte le giovani coppie vibranti d’amore.

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La corona del matrimonio di Leopoldine Hugo, Museo Casa di Victor Hugo http://maisonsvictorhugo.paris.fr/en/work/leopoldine-hugos-wedding-wreath-1843

Nell’estate del 1843 Victor Hugo,  prima di partire per la Spagna per qualche giorno di riposo, andò a salutare l’amata figlia: da tre mesi aspettava un bambino e la sua felicità le illuminava gli occhi e il cuore come un gioiello prezioso. Un momento di pura e intima fusione con il papà, che non si stancava di ammirare quel suo giglio perfetto e puro.

Leopoldine aveva promesso al padre che, se fosse stato un maschio, gli avrebbe dato il suo nome.
Eppure… quel giorno Leopoldine non voleva staccarsi dal papà, addirittura lo implorò di non partire.
Un doloroso senso di distacco, di perdita offuscò il dolce viso della ragazza, e anche il padre sentì opprimente un senso di profonda angoscia che rese la partenza estremamente agitata. Il viaggio non riuscì a scacciare un pesante senso di oppressione e di presentimento che rendevano le notti dell’autore estremamente inquiete.
Rientrato in Francia, la mattina del 9 settembre 1843 Victor Hugo si fermò in un caffè di Rochefort, per rifocillarsi e leggere qualche giornale.
Come scrive il sito Penna d’autore: “…E fu a quel punto che il pungente turbamento che lo aveva accompagnato durante le vacanze si cristallizzò in una notizia assurda, devastante.
Aperto un giornale, Hugo sbottò in un’angosciosa esclamazione: “È terribile!” e rimase pietrificato, esterrefatto.
Il quotidiano riportava la notizia dell’improvvisa morte della sua Leopoldine e del genero, annegati nella Senna cinque giorni prima.
“Leopoldine Hugo se noie à Villequier avec son mari”, titolava il giornale.
Oltre che al suo ostinato turbamento quella ferale notizia suggeriva un’amarissima spiegazione al tetro presentimento che aveva attanagliato la figlia nel momento del distacco da lui.
Era successo che Leopoldine aveva voluto fare una gita in barca, ma un improvviso colpo di vento aveva fatto rovesciare la piccola imbarcazione, facendo cadere in acqua lei ed il marito, il quale, abile nuotatore, aveva cercato di trarre in salvo la moglie, ma lei, presa dal terrore, non voleva staccare le mani dalla chiglia ormai capovolta.
Charles, resosi conto che non sarebbe riuscito a farle allentare la presa, s’era lasciato colare a picco insieme con la moglie.
Gli sventurati coniugi furono sepolti in un’unica bara, nel piccolo cimitero della città dove si erano stabiliti, Villequier.

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leopoldine_HUGO_et_son_mari https://www.landrucimetieres.fr/spip/spip.php?article1970

Victor Hugo fu sopraffatto da un dolore indescrivibile, con una notevole componente di rimorso: si domandava, con lancinante insistenza, se per caso non dovesse pagare per non essere rimasto accanto alla figlia.
Da allora ogni anno, nella mesta ricorrenza del decesso di Leopoldine, al riaprirsi, cioè, di una ferita difficilmente rimarginabile, il grande scrittore compiva un pellegrinaggio nella cittadina di Villequier e quando, a causa del forzato esilio a Guernesey (Belgio), scattato l’11 dicembre 1851, ciò non fu più possibile, vi ritornava con la mente e coi versi.
Ritornato in patria il 5 settembre 1870, Hugo riprese la via crucis, che lo conduceva al cimitero vicino alla Senna, dove riposava per sempre la primogenita.
L’eco appassionata e commovente del suo tenacissimo attaccamento alla ragazza, repentinamente strappatagli da un crudele destino, vibra nella seconda parte di Le Contemplazioni (1856), il capolavoro lirico dello scrittore francese, il quale nella breve prefazione aveva scritto: “Un abisso separa le due parti di questo libro: una tomba”, ovviamente quella della sua Didine.
La sezione del libro dedicato alla figlia contiene i versi ispiratigli dalla morte di lei e degli anniversari di quella tragedia.
Si tratta indubbiamente delle più belle poesie sgorgate dalla penna di un padre.
Si racconta che Hugo, il quale aveva il pallino dell’occultismo, riusciva spesso, nel corso di sedute spiritiche, a mettersi in contatto con l’anima dell’amatissima Didine e a colloquiare con lei, estremo suggello di un legame affettivo che la morte della ragazza – lungi dall’aver affievolito – aveva oltremodo corroborato, portandolo quasi ad un livello ascetico.”

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Maison_de_Victor_Hugo_Leopoldine_Chatillon_27122012

Nulla più si può aggiungere alla forza dirompente e terribile di un uomo che ha perso l’unica certezza d’immortalità, l’amore più grande, il più innocente, l’unico al di sopra di ogni sospetto. Un padre che ha perso il proprio figlio.

L’ALTRA FIGLIA, ADÈLE

Adèle, la figlia del Poeta
a cura di Andrea Giampietro

A mia figlia Adele

Bambina, mi dormivi accanto, fresca e rosea,
come un piccolo Cristo sopito nel presepe;
era il tuo puro sonno così calmo e incantato
che non udisti il canto dell’uccello nell’ombra;
pensieroso, aspiravo tutto il dolce mistero
del nero firmamento.
 
Ed ascoltavo gli angeli volare sul tuo capo,
guardandoti dormire; e sopra le tue fasce
sfogliavo lievemente gelsomini e garofani;
e, vigile, pregavo, sulle tue chiuse palpebre;
e gli occhi mi bagnava la sola idea di cosa
la notte ci riserva.
 
Un giorno sarà il turno per me riposare;
il letto fatto d’ombra sarà così tremendo
che più non sentirò il canto dell’uccello,
la notte sarà nera; allora, mia colomba,
in pianto, preci e fiori, rendimi sulla tomba

quanto alla culla diedi.

(traduzione di Andrea Giampietro)

 

2 Risposte a “Victor Hugo e il suo struggente lamento per la figlia perduta”

  1. Storia davvero struggente come lo sono i versi della poesia Domani all’alba.
    Dolore puro tradotto in parole, come solo un poeta sa fare.
    Un abbraccio
    Luciana

    1. Ciao Luciana, dici bene, “dolore puro tradotto in parole”, sono versi che non hanno tempo né identità, cambia il nome della persona cara ma il dolore è sempre lo stesso: un desolante e irreparabile strappo che nulla potrà ricucire. Aurora

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