GIOVANI PENDOLARI AL COTONIFICIO HONEGGER NEGLI ANNI SESSANTA

1961, giovani operai in divisa davanti alla chiesa dello Stabilimento Honegger, dietro si vede il Convitto. 1961

GIOVANI PENDOLARI

AL COTONIFICIO HONEGGER

NEGLI ANNI SESSANTA,

dalla montagna alla valle

HONEGGER COTONIFICIO
HONEGGER COTONIFICIO

 In questi giorni soffre il mio cuore nel seguire le drammatiche ore di sfacelo che hanno coinvolto la storica fabbrica tessile della Valle Seriana, il Cotonificio Honegger ad Albino. Per più di un Secolo ha offerto lavoro e possibilità di vita dignitosa alle famiglie della Valle. Venne infatti aperto nel 1875. Oggi sta chiudendo, lasciando sull’asfalto 358 operai, donne e uomini, giovani e più esperti, ragazze e fanciulle. Unica parola: “cassa-integrazione”.

Lo Stabilimento tessile Honegger è stato il faro di luce anche per i paesini arroccati sulla montagna, in particolare Amora di Aviatico, Ama e lo stesso Selvino. Per i ragazzi dell’Altopiano era l’opportunità di cercare una vita oltre il campo “ol càp”, oltre il fieno  e le mucche da accudire, la stalla e la puzza di letame. Si era disposti ad ogni sacrificio, ore e ore su e giù lungo la mulattiera, per uscire dal recinto antico della povertà.

La ciminiera degli Honegger oggi e in alto a destra la mole appuntita della Cornagera
La ciminiera degli Honegger oggi e in alto a destra la mole appuntita della Cornagera con poco sotto il paesino di Amora

QUANDO SI LAVORAVA AGLI HONEGGER…

Nel mio libro di narrativa “Lassù dove si toccava il cielo”, uscito nel 2009 per le Edizioni Villadiseriane, ho riportato le testimonianze di alcuni di quei ragazzi, attraverso la voce di un bambino di montagna:

“Mio fratello Guido e le mie sorelle Giusi e Aldina, ragazzini di 14 – 15 anni,  lavoravano  agli Honegger, impegnati nei vari reparti: c’era chi metteva le spole sui telai, chi tesseva, chi trasferiva il filo dai rocchetti piccoli a quelli grandi. Si diceva che lavoravano “in di ròche”.

Durante la settimana alloggiavano al Convitto, il cui uso veniva trattenuto sullo stipendio. Nelle ore libere cucivano i grembiulini e le divise mentre il sabato, per avere qualche soldo in più, ci si fermava a pulire l’infermeria e lo studio.

Se ne andavano dalla contrada di Amora Bassa, un borgo di case sotto il monte Cornagera a guardia  della Media Valle Seriana, il lunedì, scendendo lungo la mulattiera fino ad Albino in base al turno di lavoro (partenza alle quattro se si entrava per le sei) e risalivano il sabato dopo il turno delle 22.00, scaglionati a coppie, per affrontare insieme le insidie del tragitto, a volte portando con sé degli amici.

In casa cominciarono a girare vestiti copiati dalle riviste, acconciature create ascoltando le amiche, riviste colorate dove campeggiava una certa Jackie Kennedy, per le mie sorelle un mito, oltre a immagini di personaggi sconosciuti che, in un mondo per me lontano, facevano impazzire i ragazzi.

I pericoli erano però sempre in agguato, tra ghiaccio e ciotoli lungo il sentiero tra le rocce a strapiombo. Altra volte si poteva incappare in cani randagi, che assalivano i ragazzi,  soprattutto nelle ore notturne, ma il peggior incubo era il buio.

Una sera mia sorella Aldina e la sua amica e vicina di casa Luisa, figlia del “Rico” si erano attardate al Convitto ed erano rimaste indietro. Il primo gruppo, più esperto e sicuro, era scomparso sui primi tornanti. Man mano che le due ragazze affrontavano la salita il buio le ghermiva come un velo sugli occhi e ben presto persero di vista il tracciato. Avanzarono con fatica nel fitto bosco di latifoglie, tra sterpi e rovi che graffiavano braccia e gambe, e giunsero alle prime case di Amora Bassa a notte fonda, stremate e infreddolite, piene di graffi e lividi.

La ricerca di un lavoro negli Anni Cinquanta – Sessanta, era commovente e desolata al tempo stesso. Appena circolava la voce di nuove assunzioni, la povera gente partiva a piedi e anche mia madre era scesa con la primogenita per cercare di far assumere mia sorella Giusi, di tredici anni. Davanti all’imponente palazzo di famiglia, tutt’oggi splendido nella sua linea elegante, vi era una lunga fila di mamme e ragazze speranzose, in attesa sulla strada, provenienti da Fiobbio, Vall’Alta, qualcuna anche da Aviatico e Selvino, come Antonia, la mamma della campionessa di sci Lara Magoni. Finalmente ecco la Signorina Milly Honegger. In silenzio aveva passato in rassegna ogni fanciulla, fermandosi a osservare e scrutare le mani. Quando era giunta davanti a mia sorella aveva annuito, perché le sue mani erano affusolate e senza imperfezioni, ma aveva anche aggiunto: “Sei troppo magra. Cerca di tirarti su e fra qualche mese ci rivedremo”. Era il 1960 e fin dall’inizio venne soprannominata “Nocciolina” per via del suo fisico estremamente minuto.

Si guadagnavano 60.000 lire al mese. Il Convitto era gestito da tre suore: la superiora Madre Antonia, Suor Maria e Suor Antonietta, la cuciniera, le quali preparavano il primo piatto, generalmente minestra, che offrivano gratis anche agli operai esterni, mentre per il secondo e le altre pietanze ci si doveva arrangiare.

A piano terra vi era la cucina, dove ognuno aveva il proprio armadietto contenente le provviste portate da Amora, che mia sorella Giusi cucinava anche per i fratelli. Nella lavanderia si facevano bollire le lenzuola e i pochi vestiti, mentre al primo piano si estendeva la lunga camerata. Accanto vi era la Chiesa, dove si celebrava la messa prima del turno mattutino delle sei.

Un giorno mi portarono a visitare il Convitto  e lo stabilimento dove lavoravano: rivedo l’enorme camerata, il dormitorio, la chiesa, il locale mensa, i grigi, maestosi, interminabili capannoni, ricordo che pensai che era come vivere in un collegio, infatti esclamai a voce alta: “Me che egneró mai.”  Mantenni fede alla mia promessa.” (Aur Cant)

1961, giovani operai in divisa davanti alla chiesa dello Stabilimento Honegger, dietro si vede il Convitto. 1961
1962, giovani operai in divisa davanti alla chiesa dello Stabilimento Honegger ad Albino, Valle Seriana; dietro si vede il Convitto, dove alloggiava chi veniva da fuori paese.

NEGLI STABILIMENTI DELLA VAL SERIANA,

NOTIZIE STORICHE

In quegli anni ci fu un vero e proprio pendolarismo di giovani agli Honegger, circa una trentina o più. Anche le madri ebbero la possibilità di guadagnare qualcosa, scendendo allo stabilimento per lavorare come domestiche, donne delle pulizie o guardarobiere.

L’opportunità di lavoro offerta dagli Honegger risaliva fin dagli inizi del ‘900, quando a scendere erano le nonne. Una prima tornata di emigrazione giornaliera aveva avuto luogo durante la Seconda Guerra Mondiale: in quel caso la destinazione era stata lo stabilimento tessile Bellora di Gazzaniga, dove avevano trovato lavoro quasi tutte le ragazze da marito nate negli anni venti e trenta, sia di Amora che di Aviatico o di Selvino, le quali alloggiavano settimanalmente in stanze fornite dalla Direzione o ospiti di parenti. Risalivano sull’Altopiano scendendo in corriera o in bici fino a Comenduno per poi inerpicarsi lungo la sterrata di Petello.

Un secondo gruppo di ragazzi negli anni Cinquanta aveva preso la strada verso Leffe, assunti nello stabilimento tessile Radici- Previtali. Anche per loro una vita di fatica e pendolarismo infinito, costretti spesso la sera ad affrontare a piedi la distanza dalla stazione dei pullman di Gazzaniga alla propria casa in Amora Bassa, lungo la strada che attraversa la frazione Masserini, quindi Orezzo, Plaz, il Colle della Muruna di Ganda, Amora Alta e giù seguendo la mulattiera.

 RAGAZZINE A SERVIZIO

Fin dalle elementari le bambine andavano a “fà i ure” cioè la domestica a ore presso qualche villeggiante di Milano che aveva casa a Selvino o dintorni. Un’altra usanza molto diffusa, prima dell’età per la fabbrica, era “andare a servizio” presso alcune delle famiglie di Albino. Così fecero anche le mie sorelle, per alleggerire il peso familiare, visto che si trattava di una bocca in meno da sfamare.”

 Da parte mia solo profondo dispiacere e partecipazione all’angoscia degli operai della fabbrica. Per saperne di più sul libro ecco qui il link diretto: Lassù dove si toccava il cielo

IL FILM DOCUMENTARIO

Il pane a vita

il racconto della chiusura di un’attività con una tradizione di 123 anni, dal 1875,

attraverso le storie e le testimonianze degli stessi operai

Regia di Stefano Collizzoli

per Fondazione Bernareggi

Caritas Bergamasca

Zalab

Rai Cinema