Scrive la giornalista Brunella Giovara su Repubblica: «”C’era la neve, come oggi. E “c’era un grande candelabro con le braccia, che illuminava la notte. E i bambini che ballavano in girotondo. Non lo dimenticherò mai”. Era una notte dell’inverno del 1946, e quella grande luce sulla montagna era il ritorno alla vita, alla pura gioia, alla voglia di giocare a pallone. I bambini e le bambine che danzavano e scherzavano nella notte erano reduci. Tutti ebrei, raccolti tra le macerie dei ghetti, tra le rovine dei lager abbandonati dai nazisti, nelle foreste dove erano sopravvissuti mangiando le radici. Tutti orfani. Ottocento ne sono passati da qui, dalla ex colonia fascista Sciesopoli oggi in rovina, sulle montagne della Val Seriana. Una storia quasi dimenticata.
“Erano magri, smunti. Poi hanno cominciato a stare meglio, sono rifioriti a forza di pane e latte buono”. Walter Mazzoleni aveva sei anni, all’epoca. Era il figlio del custode Angelo, e cominciò a giocare con quei bambini che “o non parlavano proprio”, traumatizzati da quello che avevano visto e subito. “O parlavano tedesco, polacco, arabo. Tutte le lingue del mondo abitavano qui. Io parlavo bergamasco, quindi ci si capiva”. Oggi Sciesopoli è un luogo della memoria abbandonata. Il Comune di Selvino, duemila abitanti, sta facendo una battaglia per salvarlo assieme a uno storico milanese, Marco Cavallarin, e ad alcuni di quei bambini. Tutti rimpatriati nel ’48 nell’unica patria che poteva accoglierli: la Palestina. Nei kibbutz si sono sposati, hanno avuto figli e poi nipoti e ogni tanto – l’ultima volta nel 2015 – alcuni di loro sono risaliti per questa strada a tornanti, sono arrivati al cancello, l’hanno aperto e si sono messi a ridere e ad abbracciarsi, ricordando che qui è cominciata una vita nuova.”»