La tristezza di Monet
diventava luce e colore
nei suoi quadri
Si sta per concludere al Palazzo Ducale di Genova (chiuderà il 10 aprile con enorme successo) la mostra pittorica “Dagli Impressionisti a Picasso”, nella quale spiccano, tra gli altri capolavori, le opere, più di cinquanta, del fondatore della corrente impressionistica: Claude Monet.
Il pittore della natura, dei fiori, della luce e della vita, nato a Parigi il 14 novembre del 1840, in realtà nascondeva dentro di sé, celato nel profondo della sua anima fragile, un dolore grande, un senso di vuoto e di solitudine che schiaccerebbero chiunque, ma che per Monet diventavano spunto e forza per riversare sulla tela quel suo immenso desiderio di libertà e di leggerezza che solo dipingendo poteva realizzare.
A 17 anni perse la mamma, la prima persona che credette nel suo talento, amante del giardinaggio e della natura; fu lei a trasmettere al pittore il profondo amore per la Natura, per il bello e delicato mondo verde. Per mesi Monet smise di dipingere: fu la zia, sorella del padre, che gli ingiunse di riportare luce alle sue giornate: “Fallo per tua madre”
Fu così che il giovane pittore lasciò che il pennello si librasse di nuovo leggero sulla tela bianca, oltre gli schemi classici. All’inizio però i suoi lavori non trovavano clientela, troppo diversi, troppo vividi, troppo reali. Le difficoltà economiche erano enormi e anche la sua storia d’amore a 25 anni con una fanciulla diciottenne di nome Camille nacque tra mura decrepite e povertà. Insieme ebbero un figlio ma la miseria era tale che Monet per ben due volte tentò di togliersi la vita. La giovane compagna gli faceva da modella e intensi furono i dipinti a lei dedicati, una figurina sottile sullo sfondo della Vita.
Opere come I Gladioli, Colazione sull’erba, La giapponesina videro la luce e l’eternità, delicatissimi preludi di primavera e di giovinezza. I due giovani sognavano Paesi lontani, mondi di orizzonti e frusciare di vento tra i rami, scrosciare di acque azzurrine e pozze tranquille sepolte nel verde. Ma Camille morì a 32 anni nel 1879 dopo aver dato alla luce il secondo figlio e Monet sprofondò nell’abisso.
Giorni e giorni di silenzio scuro, senza ritorno. Poi piano piano penetrò furtiva nella sua apatia, una donna, l’ex moglie di un collezionista d’arte, che si conquistò la sua fiducia accudendo i figlioletti e governando la casa con maestria. Monet la sposò e lei gli offrì un solido aiuto economico, ma con accanita ossessione distrusse ogni traccia del ricordo di Camille: opere, fotografie, ritratti, disegni, del giovane primo amore vennero bruciati.
Passarono gli anni e il pittore, invecchiando, si rinchiuse in un mondo di ninfee e giardini, stagni e polle d’acqua dove trascorreva intere giornate lontano da tutti se non dai colori e dalla sua Musa dormiente. Anche quando divenne cieco non smise di dipingere le sue ninfee, a centinaia riprodotte a memoria, mentre una malattia incurabile se lo portava via a poco a poco, fino a che si spense a 86 anni, nel 1926. Una tristezza infinita aveva accompagnato i suoi ultimi anni di buio, ma la vita divampa ancora vivida e fulgida, colma di ebbrezza e splendore, nei quadri che ancora oggi rendono Claude Monet l’unico, vero, indiscusso re dell’Impressionismo più puro.
di ritorno da un viaggio in Francia, patria di Monet, leggo questo articolo sulla sua vita e sulle sue opere che amo moltissimo.
Che grande gioia e serenità danno i suoi quadri, ti fanno partecipe di una natura che è veramente dono di Dio!
Le coincindenze, cara Luciana, fanno davvero capire che siamo solo granelli di luce e colore che si mescolano e nescolano le loro esistenze nell’infinità del tempo; la grandezza di Monet, unita alla sua fragilità di uomo uguale ad ogni uomo, lo rendono un’espolsione di serena eternità. Aurora