Autunno, parole di poesia
NATURA MORTA
Amai
sicura e leggiadra
nel vigore di giorni
giovani di luce
e di speranza…
Ora posso solo
struggermi
nelle nebbie scolorite
della nostalgia.
(Da Fiori di campo 1993, rieditato 2011)
Cominciano a offuscarsi i giorni, tra nebbie basse e uggiore di pomeriggi. Le foglie fuggono lievi oltre il passo, come il nostro respiro carico di rimpianti. È tempo di ciocchi nel camino acceso e di tepori rannicchiati. È autunno sull’Altopiano di Aviatico.
AUTUNNO, TRISTE SOLITUDINE DI UN TEMPO
Negli Anni Cinquanta inziava il turismo nelle Valli di montagna, da giugno a settembre, poi tutto ritornava silenzioso e immobile, come in letargo, avvolto dalla nebbia e dalla foschia, solo il risuinare dei campanacci lungo i pendii indicava la presenza di altre anime esposte alla campagna, mentre le mandrie di ritorno dagli alpeggi brucavano l’ultima erba. Per i montanari era l’inizio dei mesi di bianco e silenzio, storie nelle stalle, sere corte e buie, notti lunghe e fredde, pasti al chiarore della lampada tra rosari e litanie.
Ecco un passo riportato nel libro Lassù dove si toccava il cielo (Edizioni Villadiseriene, 2009) che racconta la vita contadina sulla montagna bergamasca negli Anni Sessanta:
“Alla fine di settembre i villeggianti ripartivano per la Bassa Valle; erano giorni nei quali sentivo acuta e pungente la malinconia, unita alle prime nebbie che salivano a lambire i pendii. Li osservavo andarsene leggeri e sbarazzini come rondini, mentre io, bambinetto perso ormai all’infanzia, rimanevo lì, a guardia del sentiero fino a che sparivano oltre la curva. Soffermando lo sguardo lucido verso Amora Alta, notavo le tante testoline sparse sui pendii, impegnate come me nei lavori di fine estate e mi rincuoravo di questa comune fatica: in una vita così poco generosa era anche un orgoglio personale se si riusciva a terminare il periodo della fienagione prima degli altri.
Poi riprendevo la via della stalla: c’era da dar da mangiare agli animali, il letame da spargere, l’ultimo fieno da riporre. Nel mio piccolo mondo di bambino di montagna non c’era spazio per i rimpianti, ma non ero triste: di lì a qualche giorno sarebbero ritornate le mie amate mucche, in tutto sei o sette, dall’alpeggio al Rifugio Calvi ed ero ansioso di ritrovarle, lucide e pasciute per la buona erba pascolata. Si consolava il mio cuore al pensiero di riprendere la via di casa e di lasciare la solitudine dei pascoli, con i suoi pericoli e le sue asperità.” (Aur Cant dal libro “Lassù dove si toccava il cielo”)